Le perplessità sulle modalità dell’arresto, i dubbi dei magistrati di via Arenula, le richieste alla Corte penale internazionale e le «perplessità» italiane. C’è molto nelle carte del caso Almasri per spiegare ciò che non torna nella vicenda per cui mezzo governo italiano si ritrova sotto inchiesta. Quando il generale libico è stato fermato a Torino il 19 gennaio scorso e la comunicazione è stata inoltrata a Roma, da subito ci fu qualcosa di strano. Mariaemanuela Guerra, direttore generale degli Affari internazionali e della cooperazione giudiziaria del ministero della Giustizia, lo mette nero su bianco in una mail a Luigi Birritteri, del Dag (dipartimento Affari di Giustizia): «Luigi, sono molto perplessa perché gli articoli 87 e 89 dello Statuto prevedono espressamente che la Corte parli direttamente con lo Statuto membro per chiedere cooperazione. Non parla con la polizia!». A dire che Guerra aveva subito espresso le proprie perplessità sulla correttezza della procedura seguita per l'arresto del libico. La stessa Guerra aveva avvertito la collega Lucchini, dirigente dell’Ufficio che avrebbe dovuto materialmente curare l’istruttoria. Si erano confrontate e avevano rilevato quello che, secondo loro, era «un errore procedurale», perché le manette ai polsi del presunto torturatore di Tripoli erano scattate senza un passaggio dal Ministero.
Il 19 gennaio, nel rimpallo via mail tra funzionari incaricati di seguire le estradizioni, spunta una e-mail, poi registrata al protocollo del Ministero. A questa erano allegati il mandato di arresto emesso dalla Camera Preliminare; l’ordine rivolto alla Cancelleria della Corte, le fotografie del ricercato, di documenti suoi e di altri soggetti; lettera all’Ambasciata italiana e nota del Direttore Ianni. I primi due provvedimenti erano in lingua inglese e araba. Mancava una traduzione in italiano. Ma dalle carte ora depositate alla Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera dei deputati c’è anche altro. Si parla di «irritualità della procedura che sinora non vede coinvolto il ministero della Giustizia come autorità centrale competente». L’esposto contro il governo italiano sul caso Almasri, com’è noto, è stato fatto il 23 gennaio scorso dall’avvocato Luigi Li Gotti, ex dipietrista andato in procura a denunciare la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il titolare dell’Interno, Matteo Piantedosi e il sottosegretario con delega ai Servizi Segreti, Alfredo Mantovano. Il suo nome compare nella relazione del Tribunale dei ministri che ieri è arrivata alla Camera in relazione al caso Almasri: 45 pagine, più altrettante di accuse dirette ai membri del governo accusati di favoreggiamento, peculato e omissione d’atti d’ufficio. L’iscrizione nel registro degli indagati è avvenuta il 27 gennaio. Quello che non si sapeva, però, è che nelle carte della vicenda che sta infiammando la politica e attizzando un nuovo scontro tra toghe ed esecutivo, c’è il racconto preciso dei fatti, perfino quelli di cui l’opposizione ha blaterato in Aula esibendo i cartelli contro la premier e i suoi.
L’arresto su mandato della Corte penale internazionale che ha sede a L’Aja del generale libico Osama Almasri Njeem è avvenuto domenica 19 gennaio a Torino. L’uomo era accusato di torture, omicidi, crimini di guerra e contro l’umanità commessi nel carcere di Mitiga a Tripoli. Diversi sono stati i canali di trasmissione. Una prima richiesta di cooperazione, accompagnata da 9 allegati, inviata in data 18 gennaio all’Ambasciata d’Italia presso l’Aja e da questa trasmessa al ministero della Giustizia tramite piattaforma Prisma il giorno successivo con un messaggio di accompagnamento redatto dal dottor Alessandro Sutera Sardo, magistrato fuori ruolo con incarico di consigliere giuridico dell’ambasciatore d’Italia presso i Paesi Bassi, Giorgio Novello. L’oggetto recava la scritta: Urgent Request for Provisional Arrest (richiesta urgente di arresto temporaneo). Poi tramite Interpol con una nota in cui si diceva che Almasri era in compagnia di altri due libici i quali erano stati deferiti in stato di libertà per il reato di favoreggiamento personale.
Almasri, il migrante che denunciò Meloni scende in campo: "Non va archiviata"
Guerra aperta a Giorgia Meloni e governo. Dopo la richiesta dell'autorizzazione a procedere per il sottosegretario&n...Nel caso della vicenda Almasri, contrariamente a quanto era accaduto in precedenza per altri mandati di arresto della Cpi, il consigliere diplomatico del ministro non aveva girato a loro la richiesta di cooperazione ma l’aveva trasmessa unicamente al Capo di Gabinetto, perché quest'ultimo aveva ritenuto di gestire la procedura in maniera completamente differente, coinvolgendo gli uffici tecnici al più per brevi giri di consultazioni. Ciò nondimeno, loro avevano ritenuto, comunque, di dover fare l'attività istruttoria di precipua competenza. Ricordava, quindi, come già detto, che la prima notizia dell’arresto era stata ricevuta domenica 19 gennaio 2025 verso le ore 8:30-9 quando la dottoressa Guerra era stata contattata dal dottor Alessandro Sutera Sardo, che le aveva comunicato che era stato arrestato un libico su mandato della Corte penale internazionale.
Le modalità dell’arresto, però, non hanno convinto.