Gli intellò rossi hanno tolto l'eskimo: in redazione ora va la kefiah

Gli intellettuali italiani fanno schifo: una rozza generalizzazione. Allora proviamo a circoscriverla e circostanziarla meglio...
di Daniele Capezzonemercoledì 6 agosto 2025
Gli intellò rossi hanno tolto l'eskimo: in redazione ora va la kefiah

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Gli intellettuali italiani fanno schifo. Eh, Capezzone, ma quanto è rozza questa generalizzazione. Obiezione accolta. Cerchiamo allora di circoscrivere e circostanziare meglio l’accusa: gli intellettuali progressisti fanno particolarmente schifo.

Fatte salve eccezioni individuali, è lì- in quella cerchia, in quell’autoproclamata aristocrazia culturale ed etica - il peggio del paese, la sua riserva di conformismo, di settarismo (travestito da finta tolleranza), di faziosità ideologica (mascherata da “impegno”). L’aveva capito Pier Paolo Pasolini, che scagliò contro quella supercasta un autentico anatema. Ridiamo la parola a lui, a PPP: «Parlo degli intellettuali socialisti, degli intellettuali comunisti, degli intellettuali cattolici di sinistra, degli intellettuali generici, sic et simpliciter» [...]». Geniale e intuitivo, Pasolini sa di scandalizzare: «So che sto dicendo delle cose gravissime [...]. Io vi prospetto [...] quello che per me è il maggiore e peggiore pericolo che attende specialmente noi intellettuali nel prossimo futuro. Una nuova “trahison des clercs”: una nuova accettazione; una nuova adesione; un nuovo cedimento al fatto compiuto; un nuovo regime [...]». Conclusione feroce e lucidissima: «Dunque tale potere si accinge di fatto ad assumere gli intellettuali progressisti come nuovi chierici». Pasolini, in particolare, si riferiva al rischio di una propensione all’omologazione travestita da difesa delle diversità. 

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Ma chi sono questi signori? Spieghiamolo con qualche esempio. Sono gli stessi che firmarono un vergognoso appello, nel giugno del 1971, contro il commissario Luigi Calabresi, presentato come un “commissario torturatore” e “responsabile della fine di Pinelli”. Prese slancio da lì una campagna di linciaggio morale che undici mesi dopo si sarebbe conclusa con l’assassinio del commissario. Rileggete le firme in calce a quell’appello: centinaia di nomi, i “migliori” del cinema, della letteratura, del giornalismo italiano di quegli anni. Da allora a oggi, si contano su poche dita di una sola mano coloro che abbiano avvertito l’esigenza di scusarsi. E invece tanti di loro ancora pontificano su tutto.

Sono gli stessi che - dal 1969 al 1978 - coccolavano il nascente terrorismo di sinistra, occultandone o offuscandone la matrice. “Le sedicenti Brigate rosse” scrivevano. Salvo poi, nei decenni successivi, raccontare a se stessi e agli altri che gli estremisti di sinistra erano isolati e marginalizzati nella società italiana. Falso: nel grosso delle redazioni italiane, nei salotti, negli ambienti intellettuali, nell’accademia, prevaleva un’ambigua quanto forte simpatia. Li svergognò tutti con un libro mirabile e memorabile (L’eskimo in redazione) Michele Brambilla: e quel libro andrebbe recuperato, riletto, ripubblicato.

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Sono gli stessi che, nei momenti più delicati, toglievano il saluto a Indro Montanelli, salvo poi - una ventina d’anni dopo, al momento della rottura con Silvio Berlusconi- provare grossolanamente ad annetterselo. Sono gli stessi che levavano cori (stolti e suicidi), nel 1979, accompagnando l’avvento del regime dell’ayatollah Khomeini in Iran, presentandolo come un liberatore: e invece si trattava dell’anticamera dell’inferno per gli iraniani. E adesso sono gli stessi che firmano appelli e costruiscono pagine ogni singolo giorno contro Israele, in qualche caso perfino con punte di comprensione, se non di giustificazione, nei confronti di Hamas.

Qualcuno obietterà: ma non sono sempre gli stessi. Vero, in parte: l’anagrafe e il ricambio generazionale fa sì che molti dei firmatari (e dei “firmatori” professionali) di appelli del passato abbiano trasmesso il testimone a nuove legioni di intellettuali e commentatori, di professori e direttori. Ma il dna politico-culturale è quello, i sorrisini di superiorità pure, e- ammoniva nuovamente Montanelli - una certa propensione a parteggiare per chi la violenza la pratica, mica per chi la subisce. Servirebbe una nuova versione del coraggioso e splendido volume di Brambilla. Da titolare stavolta: “La kefiah in redazione, cinquant’anni dopo l’eskimo”.