«Siamo arrivati in poco più di 24 ore a 2500 firme. Tutte di persone normali. Né attori, né registi, né vip». Eppure è bastato a scatenare l’odio sui social. Su X, sotto il suo post, un tale invita a conservare queste firme” perché “serviranno un domani”. Una minaccia esplicita. E tralascio gli insulti.
«Sui social sono continuamente insultata per le mie posizioni. “Complice del genocidio” è diventata un’accusa quotidiana». Paola Concia, ex parlamentare del Pd, è una delle firmatrici dell’appello di Venice4Israel e Free4Future, nato come risposta all’altro appello, quello con cui il collettivo Venice4Palestine, raccogliendo adesioni di alcuni dei più importanti registi e attori italiani, ha chiesto alla Biennale di Venezia non solo di prendere posizione contro il “genocidio in corso a Gaza”, ma anche di ritirare l’invito alla Festa del Cinema a due attori, Gal Gadot e Gerard Butler.
«Due attori di cui uno, Butler, non è nemmeno ebreo. È scozzese. La sua colpa è di aver partecipato, nel 2018, sette anni fa, a una cena dove si raccoglievano fondi per l’Idf. Mentre lei, Gadot, ha sostenuto le famiglie degli ostaggi, aderendo anche all’ultima grande manifestazione a Tel Aviv. E per questo li hanno accusati di sostenere il genocidio a Gaza. Ma ci rendiamo conto?».
Come è nata l’idea del vostro contro-appello?
«Tutti condividiamo l’orrore per la tragedia che si sta consumando a Gaza. Ma quando abbiamo visto che in quell’appello non si citava, nemmeno una volta, Hamas, e nemmeno quanto accaduto il 7 ottobre, che è l’inizio di tutto, e non si faceva parola degli ostaggi israeliani, allora abbiamo deciso di fare qualcosa».
I vip, però, stanno tutti dall’altra parte. Perché?
«È chiaro che in questo momento, al netto che tutti condividiamo il dolore per quello che sta accadendo a Gaza, appelli come quello pro-Palestina danno più risalto, più visibilità».
Perché non c’è un vip che firma per chiedere il ritorno degli ostaggi israeliani o la cacciata di Hamas?
«Io vedo soprattutto strumentalizzazione. Tu puoi parlare della Palestina, della tragedia del Medioriente. Ma non puoi rimuovere completamente da dove tutto nasce».
E perché accade anche tra gente informata, colta, che ha modo di conoscere realmente i fatti?
«Io penso che l’antisemitismo, che oggi viene chiamato antisionismo, sia una realtà latente. Anche quando sono stata in Parlamento me ne sono accorta. Oggi, con quello che sta accadendo a Gaza, è esplosa».
Mi colpisce il fatto che il jet set sta tutto dalla parte di Gaza. Perché?
«È una causa che riscuote il sostegno dei buoni e dei giusti. E dire che di tragedie nel mondo ce ne sono tante. Pensiamo a quella più vicina, la guerra in Ucraina. Non mi pare che si sia mobilitato il mondo per i poveri ucraini che stanno lottando e morendo da tre anni e mezzo. C’è un doppio standard evidente. Anzi, quello stesso mondo rimprovera agli ucraini di volersi difendere e di non voler stare sotto Putin. Certo, si può criticare Israele, ma la critica legittima non può diventare caccia all’ebreo, o addirittura a un attore che non è nemmeno ebreo. Ormai è un automatismo: ebreo uguale governo di Israele. Qualsiasi ebreo o israeliano deve fare l’abiura se non vuole essere cacciato, dimenticando che questo non viene chiesto a nessun russo».
Perché accade?
«I miei amici ebrei dicono che è sempre stato così. Non è un odio che dipende solo dalle azioni di Netanyahu. Durante tutta la storia di Israele, anche con presidenti di altri orientamenti politici, è stato così». Come valuta l’atteggiamento della sinistra rispetto a questi temi?
«La sinistra è sempre stata con la Palestina. È un fatto culturale. Oggi, poi, si aggiunge l’odio dell’Occidente contro se stesso e un anticolonialismo fortissimo che prende di mira Israele, considerato uno Stato occupante. Cosa non vera, perché la Palestina non è mai esistita come Stato».
Ieri lei ha scritto un post parlando dell’intimidazione, «vecchia pratica», scrive, che funziona così: “Se non la pensi come NOI che sembriamo la maggioranza perché urliamo più forte e riteniamo di essere buoni e giusti devi essere messo alla gogna”. Cosa voleva dire?
«Oggi questa pratica politica è molto alimentata dai social. Se non ti adegui alla narrazione che va per la maggiore, sei oggetto di attacchi intimidatori. Se osi avere un pensiero laterale, se provi a problematizzare, sei attaccato. A me capita di continuo. E lo trovo molto pericoloso. Perché l’effetto è che la gente non parla più, non si esprime. Ha paura. È un problema democratico: muore la libertà di parola e di pensiero. Su questo dovremmo ragionare ed essere vigili».
Come giudica l’atteggiamento del partito di cui è stata eletta, il Pd, rispetto a Gaza e Israele?
«C’è sempre un barcamenarsi per non scontentare quella parte dell’elettorato che viene incalzata da chi urla più forte, come i Cinquestelle e Avs. Quindi il Pd cerca di mantenere un tratto di ambiguità, strizzando l’occhio a chi accusa solo Israele. Quello che mi sorprende è perché il Pd non sostiene la sinistra israeliana o i Paesi arabi moderati che sono contro Hamas, perché non sostiene l’Anp che ha chiesto la cacciata di Hamas. Perché?».