In giovinezza Paolo Gentiloni era chiamato dai compagni «er moviola», trascorse molte primavere, i suoi modi felpati, cardinalizi, restano intatti e ancor più accentuati, ma il suo incedere da porporato non deve ingannare chi lo osserva, Gentiloni è un centrista di sinistra (è possibile anche questo) che ha i quarti di nobiltà per non confondersi con la compagnia di descamisados al vertice del Pd, ma quando si va al nocciolo dei problemi del nostro tempo, la sua ideologia progressista lo cattura fino a svelarne il pregiudizio e l’inattualità. In un articolo su Repubblica ieri Gentiloni ha sfoggiato la consueta flemma, parlando di economia ha presentato uno scenario in cui l’Italia arranca e ha accusato il governo di non avere una politica industriale e un piano per l’innovazione.
Ha dimenticato la serie di dati positivi della politica economica del governo, la formidabile serie di giudizi delle agenzie di rating, il giudizio del Fondo Monetario Internazionale sulla gestione dei conti italiani («risultati fantastici») e questo basta per dire che la sua visione non è solo di parte, è parziale, fino all’amnesia autobiografica. Bisogna ricordare che Gentiloni non è un marziano, è stato molte cose e tutte di primissimo piano: due volte ministro (delle Comunicazioni e degli Esteri); ultimo presidente del Consiglio del Partito democratico (dal 12 dicembre del 2016 al 1° giugno del 2018); Commissario Ue per l’Economia (dal 1º dicembre 2019 al 1º dicembre 2024); presidente del Pd (dal 17 marzo 2019 al 22 febbraio 2020). Gentiloni è un politico che sa molto, ha esperienza e coltiva un network di alto livello, ma quel che sa e quel che ha visto lo distilla secondo convenienza politica, il suo periodare ha il pregio dell’argomentazione, ma è ricco di “omissis” che non sfuggono a un’analisi informata. Il suo passato lo pone tra coloro che non possono alzare il dito e lanciare accuse, egli ha partecipato a Roma e a Bruxelles a scelte che hanno indebolito l’industria italiana. Gentiloni ha sostenuto il Green Deal quando era già chiaro che stava per tirare le cuoia di fronte al cambiamento di scenario.
Nel marzo del 2024, disse che «la visione del Green Deal è stata certamente giusta, oggi invertire la rotta sarebbe miope dal punto di vista ambientale, economico e geopolitico». Lo fece in buona fede, era convinto che lo sviluppo potesse passare da una riprogrammazione a tavolino dell’economia, ma fu un grave errore di cui oggi paghiamo le conseguenze. Quello che è accaduto in Occidente nel mercato dell’auto è istruttivo: un’ondata ideologica - alimentata dai movimenti ambientalisti e fatta propria acriticamente dai partiti progressisti, di cui Gentiloni fa parte ha spinto al passaggio a tappe forzate dal motore endotermico a quello elettrico. Il risultato, dopo anni di propaganda eco -insostenibile e norme liberticide, è la desertificazione industriale, l’invasione dell’auto elettrica cinese. Il 31 luglio del 2023, (solo due anni fa, sembra trascorso un decennio), l’Economist pubblicò un articolo con questo titolo: «E se la Germania smettesse di produrre automobili?».
Sembrava una provocazione. Non lo era. E per questo l’Unione europea sta facendo retromarcia. Ancora troppo lentamente. Non puoi essere così inavveduto prima e fare la parte dell’illuminato dopo. Tutti sanno che la diffusione e gli investimenti nelle nuove tecnologie sono la partita della supremazia mondiale (in particolare la produzione di microchip), ma lo sviluppo hi -tech in Europa (dove Gentiloni aveva un ruolo chiave) l’abbiamo perso con una Commissione incapace di creare le condizioni favorevoli per la nascita di unicorni e titani digitali. Quanto all’intelligenza artificiale (che ha bisogno di hardware e software, potenza di calcolo e investimenti esponenziali), secondo il rapporto sull’AI della Stanford University, gli Stati Uniti nel 2024 hanno lanciato 40 modelli di AI degni di nota, superando di gran lunga i 15 della Cina e i 3 dell’Europa. Tre, questo è il contributo europeo all’AI, ridicolo. Gentiloni sostiene che bisogna aiutare le imprese a incorporare le nuove tecnologie, ma ne sottovaluta la capacità di penetrazione, gli effetti del «pervasive computing» non sono un regolamento Ue, sono la vita quotidiana, la “googlata” di ieri è già la domanda all’Intelligenza artificiale oggi e domani (a passo sempre più veloce) sarà il “booster” della catena di produzione nelle aziende. Non è un’ondata tecnologia europea per colpa della classe dirigente e degli imprenditori del Vecchio Continente. Questa è la vera «miopia».
Secondo lo studio di Stanford che ho citato prima, «anche l’utilizzo dell’AI nel mondo degli affari sta accelerando: il 78% delle organizzazioni nel 2024 ha dichiarato di utilizzare l’AI, rispetto al 55% dell’anno precedente». Non si può fermare il vento, quello che dobbiamo fare è far gonfiare le vele, stare al timone e avere una rotta. Quella che l’Europa non ha e di cui Gentiloni conosce da vicino tutti i limiti che vengono fuori quando si va al tavolo del carteggio. C’è un altro tema che Gentiloni scaglia come una freccia contro il governo Meloni: i dazi dell’America trumpiana. Sono una realtà, perbacco, ma dimentica che a subirli è stata l’Unione europea che ha negoziato con Trump, quella sostenuta anche dai partiti socialisti, di cui il Pd fa parte. Al tavolo della Casa Bianca c’erano i vertici della Commissione Ue, non la premier dell’Italia che, semmai, ha cercato di evitare una rottura con gli Stati Uniti che avrebbe portato a uno shock colossale sui mercati.
Questa è la realtà, non le teorie cospirazioniste che ancora ieri furoreggiavano a sinistra sul rapporto tra Meloni e Trump. Inseguono i social e vivono in un mondo parallelo. I nuovi mercati, a dispetto di quel che sostiene Gentiloni, si aprono prima di tutto secondo le leggi della domanda e dell’offerta, e il mercato americano resta insostituibile per volumi e richiesta di prodotti di qualità che l’Europa - e l’Italia in particolare - continua a produrre. Gli accordi di libero scambio funzionano quando c’è qualcuno che compra e quello che vende non resta con i magazzini pieni. Siamo un paese trasformatore-esportatore, quando Gentiloni dice che «è il momento di contribuire a una nuova strategia europea nei rapporti con la Cina» dimentica di dare una soluzione. Come? Alziamo una barriera all’invasione cinese o cerchiamo un’intesa con Pechino, una mossa che Winston Churchill avrebbe chiosato come nel film L’ora più buia: «Non puoi ragionare con una tigre quando la tua testa è nella sua bocca». Gentiloni fa come il canguro e salta la realtà geopolitica: gli Stati Uniti stanno cercando di costruire un’alleanza occidentale per contenere la Cina sul piano economico e militare. È un dato che non ci consente di sganciarci dall’America senza pagare... dazio. Gentiloni non è un utopista, non va confuso con Elly Schlein e la nave dei folli del Pd, ma ha le chiavi sbagliate per aprire le porte della contemporaneità. E alla fine, ne resta fuori.