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Sondaggi record per Fratelli d'Italia: i 5 motivi per cui Meloni continua a crescere

di Pietro Senaldimercoledì 29 ottobre 2025
Sondaggi record per Fratelli d'Italia: i 5 motivi per cui Meloni continua a crescere

4' di lettura

Giorgia Meloni posta sui suoi social i dati sull’occupazione, cresciuta in tre anni, da che è a Palazzo Chigi, del 2,6% (60-62,6% quella generale; 51%-53,7% quella femminile) e sul calo dei senza lavoro, dall’8,2% al 6% (dal 22,5% al 19,3% per quanto riguarda i giovani). Non sono però queste le cifre più clamorose. Il numero sbalorditivo è il 31,2% a cui Swg dà Fratelli d’Italia, ancora in crescita e circa dieci punti sopra il Pd, fermo al 22%. È un risultato inusuale per una forza al governo da oltre metà legislatura, soprattutto in periodo di redazione della manovra finanziaria, dove solitamente le risorse vengono prelevate anziché elargite.

Sono cinque le ragioni della durata del consenso della presidente del Consiglio. La prima è che la sinistra non riesce a intercettare gli scontenti, che migrano nell’astensionismo. Gli italiani hanno provato sulla propria pelle le ricette del Pd e dei loro alleati e non credono che esse possano risolvere i loro problemi. In più c’è la leadership di Elly Schlein, che ha avuto successo nel frenare il calo di voti dei dem e nel recuperare qualche deluso, ma non dà proprio l’impressione di essere in grado di guidare il Paese.

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I suoi primi nemici la segretaria li ha in casa. E non parliamo solo di Giuseppe Conte, che giusto ieri ha dichiarato di «non sapere che cosa significa questo campo largo» e che comunque «gli serve un leader scelto con le primarie o in altro modo». È tre quarti del Pd che non crede in lei, al punto da paventare come possibile candidata contro Meloni addirittura una neofita della politica qual è Silvia Salis, sindaca di Genova da sei mesi. Perfino i tre moschettieri che stanno lavorando al suo correntone, Dario Franceschini, Andrea Orlando e Roberto Speranza, in realtà vogliono infilzarla, preferendole il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, e perfino quello scaccia-voti dell’ex riscossore del Fisco, il capo dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, palermitano e secondo la vulgata apprezzato al Quirinale.

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Il secondo motivo è la capacità di Meloni di cambiarsi d’abito non appena passata dall’opposizione a Palazzo Chigi, vestendo i panni della leader tenace ma rassicurante. L’elettorato, specie quello meno giovane, nel quale è ancora forte l’immagine della donna come custode del focolare domestico, la premier incarna l’ideale della padrona di casa che sa farsi valere fuori e al contempo far quadrare i conti dentro. A costruire questa narrazione vincente ha contribuito la percezione che gli italiani hanno della leader di Fdi di una politica atipica, che ha mantenuto distanza dal potere e non se ne è fatta inebriare, proprio come Frodo, il protagonista della saga del Signore degli Anelli, testo sacro dei ragazzi di Atreju oggi al governo.

Sintesi delle prime due motivazioni è la terza. Meloni riesce a tenere a sé i voti anche degli elettori che non sono soddisfatti del suo operato, o che comunque avrebbero sperato in qualche cosa di più. Questo dipende dalla sua abilità di aver fatto passare il concetto di poter fare quello che aveva promesso e non ha ancora fatto e che comunque, se non lo ha realizzato finora non è per responsabilità sua ma per colpa dei suoi avversari. In questa operazione di suggestione dell’elettorato è facilitata dal fatto che l’opposizione non è ancora riuscita a individuare un leader che goda di una reputazione tale da riuscire a convincere gli italiani di essere in grado di cambiare le cose che non vanno bene.

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SOLIDITÀ

E siamo alla quarta spiegazione: la solidità della coalizione. Lo schema vincente dell’alleanza e la formula di scelta della guida è stato il grande regalo che Silvio Berlusconi ha fatto ai leader di tutti e tre i partiti del centrodestra. Ma la capacità di tenere annodati e al tempo liberi i fili che uniscono le forze del governo e di fare in modo che i fisiologici strappi che i partiti fanno per marcare la propria identità non vengano vissuti dall’elettorato come drammatici e non deflagrino è da attribuirsi principalmente alla modalità di guida della premier. Esattamente l’opposto di quanto avviene dall’altra parte, dove la testardamente unitaria Schlein dà la sensazione di non aver in pugno neppure il suo partito, figurarsi quelli alleati, mentre Conte, il suo rivale, sembra sempre più un Matteo Renzi estremista anziché centrista, intento a pensare a sé e ritagliarsi il proprio spazio più che a dare un valore aggiunto alla coalizione. Infine c’è lo spirito del tempo. Il progressivo smantellamento delle certezze e della comfort zone su cui si sono fondati i decenni digoverni tendenzialmente social-democratici hanno portato gli elettori a privilegiare le destre, come scelta difensiva, valoriale e identitaria. Meloni sembra riuscire a cavalcare quest’onda senza gli eccessi di altri leader stranieri e questo fa pensare che la trasformazione di Fdi nel primo partito conservatore della storia d’Italia sia ormai sempre più prossima.