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Carioti e "I figli di Salò"

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neofascisti patriottici

Albina Perri
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L'Italia divisa del secondo dopoguerra fa da ambientazione storica all'ultimo saggio di Antonio Carioti, “Gli orfani di Salò”, in libreria per Mursia e che sarà presentato giovedì dalla Fondazione Ugo Spirito. Un'indagine sulla storia del neofascismo all'indomani della fine della seconda guerra Mondiale. Così viene analizzato il periodo che va dal 1946 al 1951, con i giovani neofascisti rimasti orfani ed in cerca di una nuova identità e collocazione nell'Italia di allora. Diverranno protagonisti di un vero e proprio movimenti ideale e di piazza al punto che l'autore ha coniato per loro l'espressione di “Sessantotto nero” per sottolineare alcune analogie con quello che sarebbe accaduto dopo. Un libro che si divide tra la cronaca e la storia. I neofascisti diventano interpreti di un sentimento patriottico raccogliendo numerosi consensi tra i giovani che manifestano per riavere una Trieste italiana e difendono il diritto di scendere nelle piazze per l'Msi, con il quale si scontreranno una volta che il Movimento sociale deciderà di aderire al Patto Atlantico. Tra una scontro fisico e l'altro con le fazioni comuniste. Giovani che, dal punto di vista storico, avranno il primato di aver aperto un conflitto con il sistema e di contestazione, cosa che i ragazzi di sinistra compiranno solo quasi vent'anni più tardi.

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