Polemica su Andrea Vitali
Popolare o fuoriclasse?
In questi giorni è successa una cosa strana: un dibattito iniziato sulle pagine culturali di alcuni giornali - invece di interessare i soliti quattro professori e intellettuali - ha coinvolto i lettori. I quali sono intervenuti direttamente (e in gran numero) tramite internet o inviando mail alle testate che diremo. Centinaia di persone hanno scritto ai quotidiani per discutere di uno scrittore. Stiamo parlando di Andrea Vitali, autore di bestseller quali Olive comprese e Una finestra vistalago e firma di Libero. È andata come segue. Sul Riformista di sabato Gian Paolo Serino, curatore della free press letteraria Satisfiction, ha stroncato duramente l'ultimo romanzo di Vitali, Almeno il cappello (Garzanti, pp. 409, euro 17,6). L'accusa? lo scrittore di Bellano è troppo prolifico, una vera officina che produce romanzi in serie. «Come un serial killer», ha sentenziato Serino, «Vitali è diventato implacabile: sino a poco tempo fa arrivava in libreria una volta all'anno puntuale come una festa comandata. Ora, addirittura, non abbiamo fatto in tempo a goderci il Vitali prenatalizio di Dopo lunga e penosa malattia che a due mesi di distanza arriva questa nuova e inaspettata avventura». La stroncatura è rimbalzata sulle pagine culturali de La Provincia di Como, che ha intervistato il responsabile del Domenicale del Sole24Ore, Riccardo Chiaberge, e mobilitato il suo critico Fulvio Panzeri, oltre a sentire l'editor di Garzanti, Oliviero Ponte di Pino. A quel punto - dalle colonne di un altro quotidiano, L'Ordine di Como diretto da Alessandro Sallusti (che è lo stesso Sallusti di Libero) - è entrato nel dibattito con un articolo a mia firma. In cui si descriveva un vecchio vizio dei recensori: sparare a zero sugli autori di letteratura popolare. O, più semplicemente, di pura, semplice e bella narrativa. Sosteneva Serino: «Non c'è critico che non abbia incensato il nuovo romanzo, che non lo abbia segnalato come “il nuovo Piero Chiara” o il “Mario Soldati del nuovo millennio”. Piero Chiara o Mario Soldati rimangono antesignani di un genere nella storia delle lettere: ma Vitali, più che letteratura, scrive narrativa. Onesta, dignitosa, senza trombe e trombettieri: fa il suo lavoro, lo fa bene, ma la letteratura, lo dimentichiamo sempre, è un'altra cosa». Parole che assomigliano molto a quelle che i critici riservavano proprio agli stessi Chiara e Soldati che oggi - ormai scomparsi - vengono incensati e posti nel gotha delle lettere italiane non solo da Serino. Lo stesso destino è toccato a Giovannino Guareschi, gli venivano mosse le medesime accuse: troppo commerciale, troppo prolifico, troppo popolare... La letteratura è un'altra cosa, si diceva. Già, peccato che molti sedicenti “letterati” oggi siano cancellati dalla memoria dei lettori e scomparsi dagli scaffali delle librerie. Simile destino tocca ad Andrea Vitali: dicono che è popolare, seriale... «Certo che mi sento seriale», spiega Vitali. «Le mie giornate hanno senso solo se riesco a mandare avanti una storia che sto raccontando. Mi ritengo pari a ogni onesto lavoratore. C'è chi va a battere il maglio e chi dirige il traffico. Io scrivo. Capisco il senso delle osservazioni che mi vengono fatte. Ma non ho mai avuto l'editore con la pistola piantata all'occipite che mi dicesse “scrivi, scrivi”. Ho i cassetti pieni di storie, vecchie anche di dieci anni. Tutto questo fieno in cascina è dovuto anche al gusto che ho di raccontare scrivendo». Il romanziere di Bellano è anche orgoglioso di produrre “letteratura popolare”. «Popolare è un bell'aggettivo secondo me. Autori come Chiara e Guareschi sono immortali. Vengono stampati, letti e riletti, i film tratti dalle loro opere sono proiettati e riproiettati. Vuol dire che affascinano i lettori. Se essere popolari significa questo, ben venga. Non mi sento l'erede di qualcuno di loro, non oso dirlo. Ma riconosco l'enorme debito che ho verso i loro libri. E poi quelli di Piovene, Arpino, Soldati... Per uno come me, che vuole raccontare storie, il pubblico è importante. I miei libri funzionano solo se la gente li apprezza». E li apprezza eccome. In difesa di Vitali si è mobilitata la città di Como. Non solo i quotidiani locali, ma gli stessi lettori. L'Ordine ha pubblicato una replica di Serino e alcuni dei numerosi commenti apparsi sulla pagina web della rivista Satisfiction (satisfiction.menstyle.it), sul profilo Facebook dello stesso Serino o giunti tramite email all'indirizzo del giornale. Tanti comaschi (ma non solo) hanno ribadito il proprio affetto per i romanzi di Vitali. «È molto bello vedere l'affetto della mia città», conclude Andrea. «Amo Como, non mi allontanerei mai. Però non voglio rinchiudermi in un confine. Non sono un prodotto locale né un'attrazione turistica». Francesco Borgonovo Pubblico di seguito anche la versione integrale dell'intervista ad Andrea Vitali, comparsa oggi sulle pagine de L'Ordine di Como. Si èscatenato un bel dibattito. C'è chi dice che hai fatto uscire due libri adistanza molto ravvicinata… Certo chemi sento seriale. Le mie giornate hanno senso solo se riesco a mandare avantiuna storia che sto raccontando. Mi ritengo pari a ogni onesto lavoratore. C'èchi va a battere il maglio e chi dirige il traffico. Io scrivo. Spero solo dinon essere un serial killer. Capisco il senso delle osservazioni che mi vengonofatte. Ma non ho mai avuto l'editore con la pistola piantata all'occipite chemi dicesse “scrivi, scrivi”. Ho i cassetti pieni di storie, vecchie anche didieci anni, chissà che roba sono. Tutto questo fieno in cascina è dovuto ancheal gusto che ho di raccontare scrivendo. Il materiale che ho accumulato miconsente anche di non dover andare in fretta, di pensare con tutta tranquillitàalle storie che devo scrivere. Ho materiale ancora per tanti anni. E non ho maiavuto l'obbligo della scadenza annuale. Quindinon credi che la serialità ti danneggi? Midanneggia un po' la vista da quando il computer ha sostituito la macchina perscrivere. Prima avevo una grossa Olivetti, ora invece la tecnologia si èevoluta e devo fare le ribattute con il pc. Però la prima stesura la facciosempre a mano, con una matita o con una biro, ho quel gusto un po'artigianale di vedere la pagina che si riempie piano piano. Non mi affatica pernulla, mi piace vedere una storia che prende corpo, riesce a muoversi… Un'altraaccusa che ti hanno rivolto riguarda “Dopo lunga e penosa malattia”, chesarebbe il rimaneggiamento di un vecchio racconto. Era unastoria uscita per Aragno uscita nel 2001 insieme con altre tre storie, in un volume intitolato “L'aria del lago”. Ne faceva parte anche Il segreto diOrtelia, il quale poi è diventato un libro per Garzanti. Anche Dopo lunga epenosa malattia è stato riscritto in parte. Non è stato modificato nella trama,ma nello stile. Perché la prima stesura risaliva al 1997 o 1998 e in dieci annie passa i difetti li trovi eccome. Poi quella storia si è poi caricata disuggestioni che sono andato accumulando in questi anni. Ci sono elementi nuoviche dipendono dal mio arricchimento personale. Poi mi sono preso la briga diasciugare certi passaggi che mi sembravano troppo scritti, poi di inseriredelle immagini che nelle prime versioni non c'erano. Mi sembra un'operazionegiusta quella di rimaneggiare un libro, di rivedere un testo e cercare dimigliorarlo. Senza contare poi che la prima edizione presso Aragno avevavenduto 4900 copie, aveva una distribuzione sostanzialmente limitata e quindiquel volume è praticamente introvabile. Molti lettori mi chiedono spesso dovepossono reperire i miei primi libri, quindi le nuove edizioni sono fatte ancheper venire incontro a loro. Tihanno paragonato a Chiara e Guareschi. Anche loro in vita si pigliavanocritiche perché troppo “popolari”. Popolare èun bell'aggettivo secondo me. Autori come quelli che hai citato, Chiara eGuareschi, sono immortali. Vengono stampati, letti e riletti, i film trattidalle loro opere sono proiettati e riproiettati. Signifca che affascinano ilettori. Se essere popolari vuol dire questo, ben venga. Non mi sentol'erede di qualcuno di loro, non oso dirlo. Ma riconosco l'enorme debito che hoverso i loro libri. Così come quello che ho verso le opere di molti altri. Mipiacciono certe cose di Piovene, il Parise de Il prete bello, poi Arpino. MarioSoldati lo conosco meno, infatti ho appena comprato il meridiano con i suoilavori perché voglio leggermelo a fondo. Credo che siano tuttora maestrinell'arte di raccontare. Sul fatto di essere popolare…Per uno come me, chevuole raccontare storie, il pubblico è importante. Ci sono gli scrittori dinicchia, i maitre a penser, ma i miei libri funzionano solo se la gente liapprezza>. Tanti comaschi si sono mobilitati,tramite la mail dell'Ordine e sul sito di Satisfiction, per difenderti. È molto bello vedere l'affetto della mia città, ma ci puà anche essere un risvoltonegativo della medaglia. Amo Como, amo il lago, lontano mi viene il magone enon andrei mai via. Però non voglio diventare un'attrazione locale. Già su ungiornale mi hanno definito “attrazione turistica”…Io vivo in un pezzo di terrainserito in una terra più vasta, dentro la quale voglio stare, senza confini.Quando una cosa diventa stretta mi dà fastidio. Ben venga che i mieiconterranei mi difendano. Non voglio però mettermi il marchio Doc. Non sonosolo un prodotto locale. E poi anche all'estero la gente si riconosce nei mieilibri. In qualche modo, tutto il mondo è paese…Cambiano i dialetti e lagastronomia, ma sotto sotto… Non haimai pensato di andare in trasferta come scrittore, di uscire dal comasco, diambientare una storia - che so - a Bari? Per meè fondamentale conoscere il teatro delle storie. Sono nato cinquant'anni fa inquesto posto, conosco bene il territorio, so di che cosa parlo. E laconoscenza del posto la ottieni solamente dopo tanto tempo, con la quotidianità. Altrimentirischia di uscire una storia fessa, di cui si sente la falsità. E'per quello che non mi allontanerò mai fisicamente né con la fantasia.