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Il cancro? Un problema di mancata comunicazione

A colloquio con il professor Carlos Sonnenschein, in Italia per una serie di conferenze promosse dalla Fondazione sigma-tau

Maria Rita Montebelli
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Quella di Carlos Sonnenschein è decisamente una voce fuori dal coro. Ma la storia ci insegna che nel campo della scienza è bene mantenere sempre la mente aperta, senza arroccarsi su convinzioni apodittiche e apparentemente incrollabili, se si vuole tenere spalancata la porta al progresso. Da circa un secolo, la teoria dominante sulla genesi del cancro è quella cosiddetta della mutazione somatica (Smt), che in pratica spiega il cancro come un accumularsi di mutazioni in un'unica cellula normale, che alla fine ‘impazzisce', si trasforma in cellula cancerosa e comincia a proliferare in maniera incontrollata. “Dimenticatevi tutto questo – annuncia sorridendo Carlos Sonnenschein, professore di anatomia e biologia cellulare presso la Tuft University di Boston, una vita trascorsa a fare ricerche insieme ad Ana Soto – perché il cancro non è la malattia di una cellula, ma la malattia di un intero tessuto”. Per Sonnenschein il cancro è cioè il risultato non di una cellula ‘impazzita', ma del venir meno di un segnale inibitore, proveniente dagli strati di tessuto al di sotto delle cellule epiteliali (il cosiddetto ‘stroma' o tessuto connettivo) che, in condizioni normali, tiene a freno la proliferazione delle cellule epiteliali. Perché secondo Sonnenschein, la mission delle cellule, la loro caratteristica intrinseca, è appunto quella di proliferare. Che è poi quello che fanno spontaneamente, senza bisogno di essere stimolate dai cosiddetti fattori di crescita, quando, prelevate da un organo, vengono messe in una coltura cellulare. Nel corpo umano invece, l'architettura dei tessuti ha una sua gerarchia precisa, dove gli strati profondi svolgono il compito di tenere a freno la possibilità di proliferare in modo incontrollato degli strati superficiali. I tessuti insomma sarebbero organizzati secondo dei veri e propri rapporti ‘sociali' e il cancro si formerebbe quando questi vanno perduti. “E' lo stesso motivo – prosegue Sonnenschein – per cui  le metastasi si formano solo in alcuni organi. Le cellule tumorali si fermano e proliferano negli organi che non riescono più a esprimere il segnale inibitore dello stroma; mentre non si sviluppano negli organi dove questo segnale è presente e funziona normalmente”. L'atteggiamento proliferativo insomma è qualcosa di inerente alla vita stessa. E' cioè una proprietà dominante intrinseca alle cellule. “Altrimenti – riflette Sonnenschein – non potremmo spiegare l'evoluzione. E questo non vale solo per i batteri, ma anche per noi esseri superiori.  Ana Soto ed io abbiamo cominciato a pensare che se fossimo stati in grado di capire perché le cellule proliferano, allora saremmo stati in grado di capire perché il cancro è cancro. Ma ci sbagliavamo. Perché il cancro non è solo ‘proliferazione cellulare', ma un problema ben più complesso, che deriva dalla mancanza di comunicazione tra le cellule epiteliali e le cellule degli strati immediatamente sottostanti”. “La cosiddetta teoria somatica del cancro – prosegue Sonnenschein – risale al 1914 ed è stata formulata da un biologo tedesco. Da allora la gente per un secolo ha continuato a fare esperimenti basandosi su questa teoria. Ma non è un caso che a tutt'oggi non vi sia un solo farmaco in grado di invertire la mutazione, che secondo questa teoria sarebbe alla base dello sviluppo del cancro. I medici somministrano ai pazienti dei ‘veleni', sotto forma di chemioterapia o di radioterapia, che uccide le cellule ma non inverte le mutazioni, anzi, paradossalmente ne genera ancora di più. Forse sarebbe il caso di cambiare direzione e di cominciare a studiare delle terapie basate sulla nostra teoria di campo dell'organizzazione dei tessuti. Nel frattempo non possiamo far altro che concentrarci sulla prevenzione”. E proprio qualche giorno fa, Ana Soto e Carlos Sonnenschein, insieme alla genetista Patricia Hunt sono stati insigniti del premio “Jacob Heskel Gabbay Award” per le loro ricerche sul BPA  (bisfenolo A). In Francia e negli Stati Uniti la legge è sempre più restrittiva nel proibire l'uso del bisfenolo A, ad esempio nelle plastiche ad uso alimentare ( biberon, tazze di plastica, ecc). Il bisfenolo A è un ‘interferente endocrino', presente in vari materie plastiche, nel rivestimento delle lattine di alluminio, ma anche negli scontrini a carta termica. Sarebbe implicato in vari problemi a carico dell'apparato sessuale e nella genesi di alcuni tumori. “Ma questa sostanza – spiega Sonnenschein - non è un mutageno; produce danno inducendo malformazioni delle ghiandole mammarie, dalle quali poi si sviluppano i tumori. Questo succede ancora una volta per la perdita del controllo dello stroma sulla proliferazione epiteliale”. “Forse un giorno la scienza troverà il modo di invertire il processo che porta al cancro – conclude Sonnenschein – Noi ci siamo riusciti in vitro, mettendo le cellule cancerose a contatto con cellule normali. Le cellule normali riescono a ‘normalizzare' le cellule di cancro della mammella. Ma non sappiamo ancora cos'è che fa diventare ‘normali' le cellule di cancro”. “L'approccio per certi versi rivoluzionario di Carlos Sonnenschein alla carcinogenesi – sottolinea Massimo Picàri, direttore generale di Fondazione sigma-tau, che ha promosso le due conferenze – conferma l'attenzione e l'impegno della Fondazione verso una lettura della Medicina, come Medicina della Complessità. Impegno che proseguirà a novembre con le conferenze della statunitense Julie Johnson dedicate alla farmaco-genomica dell'ipertensione e di John Nolan sul diabete”. (LAURA MONTI)  

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