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Terapie spezza-dolore e salva-articolazioni

400 specialisti da tutto il mondo a Milano per 'Magenta Osteoarea', una due giorni sulle malattie reumatiche

Maria Rita Montebelli
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Sono 400 i reumatologi che prenderanno parte a Milano, il 13 e 14 settembre, a ‘Magenta Osteoarea', il congresso internazionale dedicato alle malattie reumatiche, giunto quest'anno alla sua terza edizione. Analisi cellulare, nuovi biomarker e tecniche diagnostiche di imaging, come l'elastografia, sono alcune delle novità al centro di questo incontro di elevato livello scientifico. Che non dimentica tuttavia la dimensione più squisitamente intima e umana delle malattie reumatologiche, aprendosi anche ai pazienti che prenderanno parte ad una sessione dedicata allo sport e al benessere. Testimonial d'eccezione sarà Simone Moro, l'alpinista e scalatore, campione degli 8000 metri, con la sua grinta nell'affrontare delle mission impossible per la maggior parte delle persone, come aver scalato per quattro volte l'Everest. “Le malattie reumatiche – spiega la dottoressa Madga Scarpellini, presidente del congresso e primario dell'UO di Reumatologia dell'Ospedale ‘G. Fornaroli' di Magenta – sono oltre 140, molte delle quali croniche e altamente invalidanti. Un mito da sfatare è che siano malattie della terza età. Nulla di più falso: molte di queste, come l'artrite reumatoide o la spondilite anchilosante, esordiscono in età giovanile e nel pieno dell'età lavorativa”. “Sempre più importante – sottolinea la dottoressa Carla Dotti, Direttore Generale dell'Azienda Ospedaliera che comprende l'Ospedale di Magenta – è fornire un approccio a 360 gradi, dall'informazione del cittadino, alla formazione, all'integrazione della rete sanitaria per la terapia e il supporto ai pazienti. E naturalmente avere a disposizione poli d'eccellenza come la Reumatologia dell'Ospedale di Magenta”. E proprio in tema di reti, la Lombardia sta mettendo a punto una rete (progetto “Reuma Lombardia”), come già fatto per altre malattie, che servirà a coordinare e ad ottimizzare il lavoro di quanti si occupano di queste patologie, allo scopo di fornire un'assistenza ottimale ai pazienti, creando ad esempio corsie preferenziali per le prime diagnosi ed evitando di intasare gli ospedali. Tra le malattie reumatiche, una delle più diffuse (almeno 300 mila casi in Italia) è l'artrite reumatoide, malattia declinata al femminile (3 pazienti su 1 sono donne) e ad esordio nel cuore della vita di una donna, cioè tra i 35 e i 50 anni. Una malattia sistemica, che coinvolge cioè tutto l'organismo e non solo le piccole articolazioni, e che investe tanti momenti della vita, compresi quelli di cui non si parla mai, come la vita sessuale.  “Il trattamento di questa malattia non può prescindere dalla regia del reumatologo – spiega la dottoressa Scarpellini – che tuttavia deve lavorare di concerto con un team di specialisti, dal ginecologo al fisiatra, per assistere in maniera ottimale la paziente. Non finiremo mai di sottolineare l'importanza della diagnosi precoce e della collaborazione con il medico di famiglia, non solo nell'invio dei pazienti al reumatologo, ma anche nell'avviare i primi esami, che consentono di accorciare i tempi della diagnosi. Tra questi, gli anticorpi anti-citrullina e l'ecografia delle articolazioni. Accedere alla diagnosi entro tre mesi dall'esordio dei sintomi (rigidità mattutina, tumefazione delle articolazioni, dolore articolare a carico di mani, piedi, ginocchia che inizia la notte e si fa importante al mattino, impotenza funzionale) consente di evitare la progressione della malattia fino all'invalidità.” Alle terapie tradizionali, i cosiddetti farmaci di fondo (es. metotrexate) e ai sintomatici, che addormentano il dolore ma non incidono sulla malattia, da qualche anno si sono andati ad affiancare i biologici, farmaci letteralmente in grado di deviare il corso della malattia e di restituire al paziente la sua vita. Ma l'incantesimo, anche con i biologici, si rompe se il paziente, libero dai sintomi (cioè in remissione), ma non dalla sua malattia, decide di abbandonare le terapie. “Lo psicoterapeuta – spiega il prof. Alberto Pellai, psicoterapeuta  dell'Università di Milano - deve essere pronto ad intervenire nei momenti di stanchezza e di scarsa motivazione nel proseguire i trattamenti, inevitabili in una malattia cronica; il paziente va tenuto focalizzato sul suo obiettivo, che è quello di continuare a stare bene. Un altro momento delicato è quello della diagnosi di una malattia che ti accompagnerà per tutta la vita. Molti pazienti infine vanno sostenuti nella loro quotidianità, fatta spesso di stanchezza invincibile e di dolore, che possono portare alla depressione (ne soffre fino al 40% di questi pazienti). Un dolore, quello dell'artrite reumatoide, immanente e devastante che, prima dell'arrivo delle terapie moderne e comunque prima della diagnosi, può essere così intenso da diventare dimensione esistenziale e da riscrivere il fisico e il cervello di una persona. Un dolore che, ironia della sorte, viene spesso anche frainteso e sottovalutato sia in ambiente lavorativo, che a casa, portando ad etichettare quel paziente come ‘lamentoso', quasi il suo fosse un dolore di serie B, rispetto a quello del paziente oncologico o chirurgico”. (LAURA MONTI)

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