Psicologia: ecco perché ci fidiamo o meno di un estraneo
Roma, 30 gen. (AdnKronos Salute) - Un aiuto improvviso che accettiamo senza farci domande, una confidenza imprevista, una simpatia che sboccia senza motivo. Perché ci fidiamo o non ci fidiamo degli estranei? La risposta è 'pavloviana': la nostra reazione dipende dalla loro somiglianza con altre persone che abbiamo precedentemente conosciuto, e quindi dal 'rafforzamento' positivo o negativo che la nostra mente opera (un concetto messo a punto dall'etologo russo Ivan Pavlov) quando si trova di fronte a qualcuno di nuovo. Lo rileva uno studio condotto da un gruppo di ricercatori di psicologia della New York University, pubblicato sull'ultimo numero della rivista 'Proceedings of the National Academy of Sciences'. "Il nostro studio rivela che siamo diffidenti persino quando un estraneo assomiglia anche pochissimo a qualcuno che abbiamo precedentemente associato a un comportamento immorale", spiega l'autore principale del lavoro, Oriel Feldman Hall. "Come il cane di Pavlov - che, 'condizionato' da un campanello al suono del quale appare il cibo, continua a produrre saliva con rumori simili - l'uomo utilizza le informazioni che ha immagazzinato sulla morale di una persona, quando ne incontra un'altra: è un meccanismo di apprendimento pavloviano", appunto, "che mettiamo in atto senza saperlo per giudicare gli estranei". E' capitato a tutti di "prendere decisioni su una persona senza alcuna informazione diretta o esplicita, e questo avviene solo in base alla somiglianza con altri che abbiamo incontrato, anche quando non siamo a conoscenza di questa somiglianza", precisa Elizabeth Phelps, l'autore senior del lavoro. "Questo dimostra che il nostro cervello utilizza uno speciale meccanismo di apprendimento, in cui le informazioni morali codificate dalle esperienze passate guidano le scelte future". La verifica è avvenuta attraverso una serie di esperimenti focalizzati su un gioco di fiducia, in cui i partecipanti prendevano una serie di decisioni sull'affidabilità dei loro partner, il cui viso raffigurato in foto è stato precedentemente valutato come più o meno affidabile. Ne è emerso che le persone preferivano di gran lunga giocare o affidare dei soldi a chi aveva una 'reputazione' positiva. In un successivo esperimento, gli scienziati hanno esaminato l'attività cerebrale dei volontari mentre prendevano queste decisioni, scoprendo che, al momento di decidere se fidarsi o meno degli estranei, il cervello sfrutta le stesse regioni cerebrali coinvolte nell'apprendimento della reputazione di un persona, come l'amigdala, un'area che svolge un ruolo importante anche nell'apprendimento emotivo. "Questa scoperta indica la natura altamente adattiva del cervello e mostra che l'uomo opera valutazioni morali di estranei tratti da precedenti esperienze di apprendimento", concludono gli autori.