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Milano. Dal rapporto 'Europe 5'sulla situazione dell'Hiv in Italia

da sx Barbara Suligoi, Emilia De Biasi, Daniel Della Seta e Massimo Galli

Uno studio su 5 Paesi - Inghilterra, Francia, Germania, Italia e Spagna – illustra i risultati rivoluzionari ottenuti nella lotta all'Hiv nell'ultimo decennio. Ma occorre rinnovare l'impegno delle istituzioni

Maria Rita Montebelli
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In che modo Italia, Inghilterra, Francia, Germania, e Spagna – i paesi dello Europe 5 – affrontano le nuove sfide poste dall'Hiv? Kpmg Lifesciences ha riunito a Milano un gruppo di specialisti, fra i quali Barbara Suligoi del Centro operativo Aids dell'Istituto superiore di sanità ed Emilia De Biasi, già presidente XII commissione sanità al Senato, con lo scopo di presentare il ‘Rapporto Europe 5', uno studio commissionato e patrocinato da Gilead sciences Europe ltd che illustra i risultati rivoluzionari ottenuti dai paesi dello Europe 5 nella lotta all'Hiv nell'ultimo decennio. Nonostante le terapie antiretrovirali prolunghino la sopravvivenza delle persone con Hiv, migliorandone la qualità di vita, l'Hiv resta un'infezione letale. Non si può dunque rimanere inerti ed è necessario continuare a perseguire la linea già tracciata.  Lo studio svolto ha esaminato gli aspetti di consapevolezza, prevenzione, test e screening, trattamenti specifici e gestione di lungo-periodo della salute del paziente inquadrato all'interno del continuum di cura. Sono state identificate le aree di forza, quelle di possibile miglioramento e sono state elaborate alcune raccomandazioni per migliorare la vita delle persone affette e a rischio di Hiv. Il capitolo italiano del report complessivo è stato presentato a Milano, in una settimana non casuale: negli stessi giorni - dal 5 al 7 giugno - ha avuto luogo, all'università Statale, la 11° Italian conference on Aids  and antiviral research (Icar), è l'appuntamento più prestigioso, in Italia su Aids e ricerca antivirale. La situazione italiana. L'Italia ha fatto grandi progressi nell'affrontare l'epidemia dell'Hiv, raggiungendo buoni risultati clinici: gli ultimi dati a disposizione evidenziano come più del 90 per cento della popolazione affetta da Hiv è consapevole del suo status, il 92 per cento di questi è in trattamento e di questi ultimi l'88 per cento ha raggiunto la soppressione virale, a testimonianza dei progressi compiuti verso gli obiettivi internazionali Unaids 90-90-90. La vera sfida per il nostro Paese oggi è costituita dalla popolazione non diagnosticata: delle circa 130 mila persone che si stima vivano con l'Hiv in Italia, si calcola che l'11-13 per cento non sia a conoscenza del proprio status di infezione. Inoltre l'incidenza si è stabilizzata, ma ogni anno vengono effettuate oltre 3 mila nuove diagnosi. La prevalenza di Hiv in Italia è dello 0.2 per cento, più alta rispetto ad altri paesi di Europe 5 come Regno Unito (0.16 per cento) e Germania (0.1 per cento). Circa la metà delle persone con Hiv viene diagnosticata in fase avanzata di malattia, comportando una minore probabilità di successo delle terapie e una maggiore probabilità di aver involontariamente trasmesso l'infezione ad altri. Tuttavia, l'Italia è tra i 5 l'unico paese che fornisce gratuitamente diagnosi, management clinico e trattamento antiretrovirale a tutti, senza discriminazioni, compresi migranti illegali e persone che fanno uso di sostanze iniettive. I commenti degli esperti. “È urgente diffondere una migliore conoscenza e consapevolezza del rischio di Hiv e di altre infezioni sessualmente trasmesse, in particolare tra i giovani, attraverso social media, scuola e strutture sul territorio (sia sanitarie che della società civile) – ha sottolineato Suligoi – L'accesso ai test deve essere agevolato (anonimo, gratuito, senza appuntamento, senza prescrizione medica, opt-out in sedi selezionate), superando anche le barriere del test ai minori. I preservativi devono essere forniti gratuitamente alle persone con comportamenti a rischio: a questo proposito, le delibere già approvate in varie regioni italiane per la distribuzione gratuita dei preservativi ai giovani purtroppo non sono state finora attivate. È indispensabile che diventino applicative come prevenzione dell'Hiv e delle infezioni sessualmente trasmesse. In sintesi, bisogna implementare urgentemente il Piano nazionale Aids 2017-2019, dedicando ad esso dei finanziamenti specifici e incorporando le relative politiche nei Lea, per garantire un'assegnazione di risorse coerenti ed assicurare l'uniformità dei servizi in tutto il Paese”. “L'approvazione del nuovo piano nazionale Aids presso la conferenza stato regioni il 26 ottobre del 2017 aveva aperto grandi speranze sulla possibilità di una concreta ripresa delle iniziative di prevenzione dell'infezione e per l'assistenza alle persone che vivono con Hiv/Aid - ha affermato il professor Massimo Galli, presidente  della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) - Va purtroppo sottolineato che il piano è rimasto lettera morta in molte regioni ed ha subito comunque significativi ritardi nella sua applicazione quasi ovunque. Un destino condiviso spesso da piani nazionali d'ambito sanitario, specie se sprovvisti di uno specifico finanziamento. Piani le cui azioni dovrebbero comunque essere attuate come Lea. Ma in questo caso, appunto, quasi tutto sembra essere rimasto al condizionale”. “Il confronto con gli altri Paesi europei esaminati nel Report ci consegna un quadro italiano in larga parte positivo – ha spiegato Emilia De Biasi – Il nostro Servizio sanitario nazionale è a vocazione universalistica, abbiamo leggi specifiche di contrasto all'epidemia e da pochi anni un Piano nazionale contro l'Aids. Le linee guida di contrasto all'epidemia sono una vera eccellenza nel campo internazionale. Ma regole e leggi hanno bisogno di basi culturali ed economiche per essere applicate correttamente e produrre innovazione e valore salute. Proprio l'Hiv ne è l'esempio: agli eccellenti risultati negli aspetti di trattamento clinico fanno da contraltare la scarsa propensione alla prevenzione e la quasi totale assenza di comunicazione pubblica sui rischi, oltre a una mancanza di finanziamenti mirati. Anche il Piano nazionale contro l'Aids non è a tutt'oggi finanziato. La parola chiave è a mio avviso innovazione: un concetto che permette di agire sulle nuove popolazioni a rischio, come giovani, donne e immigrati irregolari, ma anche per prendere in carico, con maggiore efficacia, gli aspetti relativi alla salute mentale delle persone con Hiv e, grazie alla cronicizzazione della malattia, anche al loro invecchiamento attivo. Innovazione infine è parola chiave per le terapie farmacologiche, per le quali è indispensabile il finanziamento della ricerca e il mantenimento dei fondi dedicati all'interno del Fondo sanitario nazionale”.  “Per stimolare il confronto internazionale sull'evoluzione dell'epidemiologia dell'HIV e sulle risposte fornite dai Paesi Europa5 Kpmg ha riunito esperti clinici e non in uno  teering commitee – ha spiegato Donato Scolozzi, Kpmg associate partner healthcare & lifescience. – Gli specialisti hanno esaminato gli aspetti di consapevolezza e sensibilizzazione, prevenzione, test e screening, trattamenti specifici e gestione olistica della salute del paziente affetto da Hiv o a rischio. Nell'analisi comparativa sono state individuate le aree di forza, quelle di possibile miglioramento e sono state elaborate alcune raccomandazioni per migliorare la vita delle persone affette e a rischio di Hiv. L'Italia ne esce bene sia dal punto di vista oggettivo dei provvedimenti adottati sia a livello soggettivo in termini del contributo che i nostri esperti hanno saputo dare allosSteering commitee”. (MATILDE SCUDERI)

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