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«InterSystems Italiacresce e cerca talenti»

Cesare Guidorzi

A colloquio con Cesare Guidorzi (nella foto) general manager dell'azienda leader mondiale del software applicato alla sanità, alla ricerca di profili lavorativi propositivi e particolarmente abili ad interagire con i clienti

Maria Rita Montebelli
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Cesare Guidorzi, da oltre 7 anni country manager di InterSystems Italia dell'area Italia e Malta - dopo aver ricoperto ruoli dirigenziali in aziende del calibro di Atos Italy e Siemens - ha raccolto nel portafoglio aziendale partnership strategiche di primissimo rilievo, come quelle con la Città della Salute e della Scienza di Torino o con la Fondazione Policlinico Gemelli di Roma, per non citare la raccolta dei dati clinici per regioni leader in Italia come Lombardia e Veneto. «Tutti d'accordo – sostiene Guidorzi – che in Italia ci sia una capacità di pensare molto avanti e vere eccellenze, anche nella clinica, che non guardano solo al ‘piccolo' del nostro paese ma anche all'estero, che inventano, scoprono… insomma un livello molto alto, anche grazie alla cultura italiana. Il vero problema è la costante riduzione degli investimenti, con la tendenza a considerare l'informatizzazione più un costo che una leva per ridurre, appunto, i costi». Un altro problema, non limitato al settore informatico, è quello delle risorse umane. «Stiamo cercando specialisti che da un lato capiscano i processi e dall'altro abbiano una capacità di approccio non del tipo: “dimmi quello che vuoi e io te lo faccio” ma in grado di comprendere le esigenze del cliente al di là di quanto da lui richiesto. Perché l'esperto non è lui, ma noi». In questo momento l'azienda conta in Italia una cinquantina di risorse, ma con un forte modello di partnership: «stiamo certificando sempre più risorse – precisa il general manager – e in realtà la ricerca di talenti e di profili si estende oggi a centinaia di persone». Un profilo non facile da trovare “perché la sanità pubblica è un mercato che paga male” e ha lavorato tantissimo sul costo a giornata e con gare al ribasso. Non servono solo bravi programmatori o ingegneri, ma consulenti in grado di dialogare capendo il problema dall'altra parte e suggerendo una digitalizzazione non limitata a spostare i dati dalla carta al computer. «È necessaria una capacità di razionalizzazione dei processi, non basta conoscere tecnologie e procedimenti specifici di settore ma bisogna saper interagire con i clienti», comprendendo la sostanza delle loro necessità ed essendo propositivi. Quindi anche clinici in grado di vedere la sanità come un mestiere più ampio di come lo presentano all'università: «non solo patologie e cure – conclude Guidorzi – ma un modo nuovo di fare medicina ‘di sistema', discutendo di processi, di organizzazione, di rischio clinico e di come mitigarlo». (ANDREA SERMONTI)

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