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Le origini della violenza, così la folla genera delitti. E si cerca lo scontro anche nei film e sul web

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Mauro Cosmai
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In regolare aumento omicidi casuali, inaspettati, da parte di insospettabili, ritenuti innocui. È dimostrato che il sovraffollamento foraggia disagi (come nei porcospini di Schopenhauer) e aggressività (come nei topolini della psicologia sperimentale), e gli umani non sfuggono alla regola: più si addossano più cresce la violenza, ma gli omicidi avvengono anche in campagna, in località prive di tensione abitativa. Le maglie della filigrana sono larghe e a farne le spese sono per prime le donne, più indifese. Facile ricordare come la natura degli umani sia ancora strettamente correlata a istinti primordiali che prevedono la difesa della prole, del territorio e relativa eliminazione dell'avversario, ma le perduranti psicodinamiche sono a tutt' oggi scandite anche dalla mediazione culturale in cui presente e futuro coincidono.

 

 

 

Tutto ciò non è però sufficiente a spiegare appieno l'inquietante numero di individui pronti a togliere la vita ai propri simili anche con modalità atroci, incredibili, visto che non si tratta di selvaggi o feroci guerrieri ma di professionisti, lavoratori, e qui densità abitative o maggior risalto rispetto al passato per i messaggi amplificati c'entra poco, compreso il gran caldo. C'entra invece un altro fattore, strettamente correlato a sua volta alla diffusione mediatica, e che riguarda segnatamente una più o meno indiretta apologia della violenza (fisica), esasperata sino all'omicidio. Film, Internet, videogame rigurgitano questa violenza in un'ontologica dimensione: sono gli spettacoli che fanno cassetta, che attirano la pubblicità pagante. Per molti un programma senza colluttazioni, sparatorie o squartamenti attira poca attenzione e i videogiochi sin dal loro primo apparire prevedevano l'abbattimento di umani come sagome del tiro a segno. 

 

 

 

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