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Torture, ecco la "pera vaginale": una clamorosa bufala dietro a questo strumento estremo

Alberto Fraja
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Questa storia delle torture inferte dagli inquisitori di Santa Romana Chiesa, per dire. Ne hanno dette e scritte di ogni. Mentendo sapendo di mentire. Centinaia di libri e di riviste grondano di racconti truculenti in cui si descrivono nei minimi particolari sevizie le più crudeli e tecniche le più efferate utilizzate per estorcere confessioni, abiure o più semplicemente sottomissioni. E vere e proprie manifestazioni grandguignolesche ditali bufale storiche sono i cosiddetti musei della tortura. Hanno riaperto i battenti lo scorso 6 agosto dopo circa due anni di chiusura causa virus cinese. Con grande successo di pubblico, a quanto pare e nonostante l'odiato green pass. 

Pali, seghe, gabbie, asce, funi, chiodi, ruote, carrucole: la narrazione inventata della tortura, in quei luoghi tocca lo zenit. Una macabra esposizione di attrezzi che fanno assomigliare ridicolmente il boia a un fabbro o a un falegname. Monumenti al falso che oltretutto riescono ad ottenere patrocini regionali, del FAI e addirittura di ONG piuttosto famose. E sono loro, i musei quelli che più fanno gioco sulle leggende nere che riguardano il medioevo e l'Inquisizione. E meno male che a smontare certe messe in scena farlocche ci pensa, ogni tanto, qualche persona dotata di senno ma soprattutto di rigore documentaristico. Come il sito di apologetica Il Cammino dei Tre Sentieri, per esempio, peraltro in buona compagnia considerando gli studi fatti i materia da medievisti di valore come Franco Cardini, Arturo Colombo e Marina Montesano. I redattori del sito non hanno dubbi: nessuno degli strumenti di sevizia esibiti nei musei delle torture sopravvivrebbe a una seria valutazione storica. Essenzialmente, esclusi gli strumenti di condanna capitale, gli altri sono tutti falsi storici del XVII e XIX secolo creati ad hoc per sostanziare la Leyenda Negra sulla Inquisizione senza, oltretutto, mai specificare di quale Inquisizione si tratti. 

Di esempi di consimili sòle, per dirla alla romana, ce n'è in quantità industriali. Cogliamo fior da fiore. Uno dei più famosi è la cosiddetta «Vergine di ferro» o «Vergine di Norimberga». Si tratta di un sarcofago antropomorfo a due ante e con aculei all'interno il cui scopo era quello di straziare, con la chiusura delle ante medesime, il corpo della vittima. C'è poi la cosiddetta «Forcella dell'Eretico», una sorta di doppia forchetta legata al collo, con le punte rivolte sotto il mento e al petto. Il sito de Il Museo della Tortura, gestito dalla Inquisizione s.r.l. (sic), lo definisce così: «Con le quattro punte acutissime conficcate profondamente nella carne sotto il mento e sopra lo sterno veniva impedito qualsiasi movimento della testa: la vittima poteva soltanto bisbigliare abiuro». «Ci si aspetterebbe di trovare almeno una menzione della Vergine di Norimberga o della Forcella dell'Eretico nel Philippi a Limborch Historia inquisitionis scritto da Philippus van Limborch nel 1692, un teologo protestante fortemente critico della Chiesa» contestano ai Tre Sentieri. Ma di tutto ciò, nel volume di van Limborch, non v' è traccia. La più divertente, però, è la «Pera Vaginale», marchingegno concepito per dilaniare vagine e orifizi anali di streghe e seguaci del demonio (ma non sarà stato un semplice e rudimentale sex toy avant lettre?). Anche in questo caso della pera non v' è l'ombra in documenti seri come, ad esempio, A history of the Inquisition of the Middle Ages, redatto dallo storico statunitense Henry Charles Lea e pubblicato a partire dal 1887. 

E che dire della «Sedia Inquisitoria»? Il torturato vi veniva fatto sedere - si racconta totalmente biotto. Alcune cinghie lo stringevano lentamente, in modo che gli aculei di cui la sedia era irta gli penetrassero nelle carni. L'interrogatorio - dicono sempre - poteva essere acuito mediante dondolio e percosse sugli arti. Il pianale era spesso tutto di ferro e poteva essere arroventato a mezzo di braciere o di fiaccola. Ebbene, c'è un piccolo particolare. Per costruire una diavoleria del genere si sarebbe reso necessario un quantitativo di metallo e di chiodi insufficiente anche per assemblare un trattore. Materiale, peraltro, nel medioevo raro come l'oro. L'ultima balla: la «Culla di Giuda». Il condannato sarebbe stato tenuto sospeso al di sopra di un cavalletto al cui culmine era posta una piramide sulla quale, attraverso un sistema di corde, sarebbe stato mosso in modo che la punta penetrasse nei suoi genitali o nell'ano. Una cavolata demenziale, vista oltretutto l'impossibilità di mantenere in equilibrio l'imputato. 

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