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Covid, tsunami-Kraken. Le Foche: cosa ci aspetta a breve, un incubo

Claudia Osmetti
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«A mettere in crisi la politica cinese dello Zero Covid sono state le sottovarianti di Omicron e Omicron stessa». Francesco Le Foche, immunologo clinico dell'ospedale Umberto I di Roma, è uno che si occupa di vaccinazioni dal 1985. Preciso, puntuale, mai cattedratico: Le Foche, questa "benedetta" (si fa per dire) pandemia da Sars-cov2, te la racconta per quello che è. Col piglio dello scienziato perché, alla fine, ciò che conta sono sempre i dati medici.

 

 

 

«Quello che abbiamo oggi è un virus diverso rispetto al ceppo originario di Wuhan che era meno contagioso e quindi più controllabile. Omicron ha dato molto più credito agli orientamenti di politica sanitaria dell'Occidente, che si traducono in una parola: immunizzazione».
Dottor Le Foche, cosa significa? 
«Se vogliamo bloccare veramente un virus dobbiamo educare il nostro sistema immunitario a una risposta verso di lui. L'Europa, ma anche gli Stati Uniti, l'hanno fatto grazie alle vaccinazioni e hanno messo in sicurezza i propri sistemi sanitari nazionali che sono stati travolti dalla prima ondata del 2020».
Vaccini contro lockdown, insomma. Abbiamo scelto bene? 
«Guardi, non è che la Cina non si sia vaccinata. L'ha fatto meno e l'ha fatto con vaccini non a mRna. Il Coronavac, per esempio, è strutturato col virus inattivato e funziona al 60%. Ha un'efficacia ridotta rispetto ai nostri. E questo, associato all'immuno-evasività delle nuove varianti, ha portato alla situazione attuale. Con gli ospedali di Shanghai intasati, i malati sui marciapiedi... Aggiungiamo un altro aspetto».
Quale? 
«Omicron viene bloccato dalla terza dose e la terza dose in Cina l'hanno fatta in pochissimi. L'hanno rifiutata culturalmente, ma è fondamentale».
Breve salto geografico: e da noi? La terza dose è andata bene, la quarta è stata un flop e si parla addirittura di quinta... Chi ci deve mettere il braccio, ancora? 
«La nostra è stata una campagna vaccinale ben fatta, dobbiamo dircelo. Io credo che la quarta dose se la debbano fare tutti passati 120 giorni dal booster o dall'infezione.
Perché comporta un'immunità migliore rispetto alle sottovarianti e perché esistono un 20% di ultra-sessantenni e un altro 10% di persone sane che, in realtà, sono fragili ma non lo sanno. Sulla quinta dose, invece no: va fatta solo ai soggetti più a rischio».
E i tamponi in aeroporto? Quando a fine dicembre sono stati annunciati i primi a Malpensa è scoppiato il finimondo...
«Macché. Abbiamo fatto bene. La strategia è giusta: intanto facciamo un tampone antigenico, chi è positivo fa quello molecolare e sequenziamo il virus. E' fondamentale, così controlliamo le varianti. La modalità migliore per bloccare il virus dov' è adesso è far partire le persone dalla Cina con un tampone già fatto. Però, mi permetta, a questo punto il problema è più politico che scientifico».
In che senso? 
«Sono convinto che gli scienziati cinesi stiano sequenziando le varianti. Ma abbiamo un dato storico: nel 2019 c'è stato un non-allert immediato che ha portato alla diffidenza di molti».
Anche l'Oms, l'Organizzazione mondiale della sanità, ha sollevato dubbi sull'affidabilità dei dati di Pechino. Sta dicendo questo? 
«La trasparenza dovrebbe esserci, senza è pericoloso. Ora dobbiamo mettere alla base delle nostre azioni l'esperienza accumulata. L'obiettivo è garantire la salute pubblica. In Cina hanno adottato sei nuovi vaccini e...».
Mi scusi, la interrompo: però l'Ue ha offerto le dosi dei nostri e ci hanno risposto picche... 
«Vero, ma allora entrano in campo alcune dinamiche. La prima è che l'innovazione del vaccino a mRna i cinesi l'hanno "subita", e per le autocrazie è uno smacco quando avviene. Devono fare in modo di sembrare autosufficienti, qui veniva ridotta la loro efficienza scientifica e bio-tecnologica. Poi c'è l'aspetto organizzativo: molte persone, in Cina, vivono in zone rurali difficilmente raggiungibili. Era più comodo iniziare con i lockdown».

 

 

 


Senta, ma non è che con tutto questo parlare di Cina poi restiamo impreparati sull'altro fronte? La variante Kraken, negli Stati Uniti, sta facendo schizzare su i contagi che manco un razzo lunare... Dobbiamo preoccuparci? 
«La variante Kraken è molto, molto contagiosa. Probabilmente è considerato a oggi, nella storia della virologia, il virus più contagioso che sia mai apparso sul pianeta. Però negli Stati Uniti il tasso di ricoveri è molto basso perché c'è una buona percentuale di vaccinati. E' questo che fa la differenza con la Cina. Uno studio della rivista Lancet stima che la vaccinazione abbia bloccato circa 20 milioni di morti».
Lo certifica anche l'Iss, l'Istituto superiore di sanità: dice che tra i sessantenni non vaccinati il rischio di letalità è sei volte superiore. Stesso discorso? 
«Esattamente. L'immunizzazione comporta una riduzione della diffusione dell'entropia sociale dl virus: cioè circola meno. Dobbiamo fare sistema rispetto alla salute pubblica. E' quello che fa una nazione civile. Così si riduce il carico ospedaliero e si dà la possibilità di curare altre patologie».
Avremo nuovi vaccini in futuro? 
«Sicuramente. E saranno in grado di dare un'immunità mucosale».
Ci spiega meglio? 
«Quella delle mucose del naso, della bocca e degli occhi. E' così che si blocca il contagio. I due vulnus dei vaccini che abbiamo oggi riguardano il non riuscire a produrre un'immunità mucosale e la loro cronolabilità, ossia che dopo alcuni mesi tendono a ridurre la copertura. Ci sono vari studi su più vaccini diversi, io immagino che potremmo averli a breve».
Urca, ma a breve quanto? Tra qualche mese?
«Temo ci sia da aspettare qualcosina in più, vanno prima sperimentati. Ma poi ci sarà la possibilità di somministrarli annualmente. L'importante è avere un coordinamento internazionale efficiente. Anche l'Oms deve fare la sua parte».

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