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Autoipnosi, "si studia 3 volte più velocemente": come raggiungere la concentrazione assoluta

Luca Puccini
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È uno che non si ferma un attimo, Giorgio Martini. Se vuoi lo trovi lì, nella sua farmacia, la Farmacia dello sportivo di Cembra, in provincia di Trento, col camice addosso e il sorriso sulle labbra, sempre allegro. Eppure si è messo dietro al bancone dopo la sua sessione giornaliera di sport («faccio nuoto e corro, anche a livello agonistico», dice) e dopo aver studiato quelle due ore che, per tutti noi, sarebbero otto. Non è un modo di dire. È che usa la tecnica dell’auto-ipnosi, Martini. E così facendo di lauree ne ha prese non una, non due, nemmeno tre, ma nove. L’ultima con una tesi sui crimini della guerra in Ucraina.

Ha 64 anni, Martini, due figli, una moglie che adora (si vede da come ne parla) e già pensa alla corona d’alloro numero dieci. Che fa cifra tonda, via. Eppure è quel suo “metodo”, nel quale è un po’ sperimentatore e un po’ pioniero, che fa la differenza. «Mi sono avvicinato all’ipnosi perché mia madre aveva dei dolori lancinanti alle ginocchia», racconta, «e se le davo troppa morfina non era più in lei, se gliene davo poco stava male. L’ipnosi può sollevare un paziente da un certo tipo di dolore, dove l’anti-infiammatorio non riesce a essere usato. Da lì sono passato all’ipnosi nello sport e mi sono accorto che dà un aumento notevole alla concentrazione».

Allora ha deciso di provarla su di sé, questo farmacista recordman della pergamena universitaria. «Ho capito che riuscivo a ottenere un miglioramento della qualità dello studio immagazzinando più dati. Quando uno studia spesso ci sono degli input esterni, i rumori o anche il pensiero della bolletta da pagare, che distraggono. E allora si finisce a rileggere la stessa riga più volte, senza però memorizzarla». Alzi la mano a chi non è capitato.

Lui, Martini, il “problema” l’ha risolto: «Con l’ipnosi riesco a entrare immediatamente nella fase di studio e a concentrarmi: non ho le distrazioni esterne che ritardano la fase di apprendimento. Devo però anche con fessare che sono un ex ufficiale della Marina militare e parte del mio comportamento mentale deriva dalla disciplina». Ché lo studio è costanza e l’apprendimento è fatica. Con o senza ipnosi.

Ma come funziona, in pratica, questa benedetta marcia in più da usare sulle dispense scolastiche? «Normalmente l’auto-ipnosi è una derivazione di quella che si pratica sul soggetto» continua Martini, perché lo sa bene: ha anche frequentato l’istituto Franco Granone di Torino, il Centro italiano di ipnosi sperimentale e clinica di cui è membro uno dei suoi mentori, il professor Edoardo Casiglia.

«Si manda una persona in ipnosi profonda e si pratica la “tecnica dell’ancoraggio” che gli permetterà, dove e quando e se vuole, attraverso un semplice comando che può essere l’unione del dito indice con il pollice, di rivivere quelle stesse sensazioni». Funziona per lo sport (immaginate di essere in una sorta di “sogno” in cui visualizzate una gazzella mentre state correndo la gara della vita), funziona sui manuali.

«Non è esattamente la stessa cosa, ma il principio è lo stesso. Pensando a una serie di colori (il rosso, l’arancione, il giallo, verde e il blu), poi cercando di immergere la mente nell’indaco, congiungendo i famosi pollici e indici di entrambi le mani, ispirando profondamente per tre volte di fila e pensando allora al colore viola, per cui tornare di nuovo ai toni originali, però pensandoli a scalare (dal blu al rosso) si dovrebbe raggiungere già una prospettiva di concentrazione maggiore, specie nei soggetti facilmente ipno-inducibili». Non che sia automatico, non basta una volta sola: ci vuole pratica, volontà, costanza. E alla fine i risultati arrivano. Ma attenzione, l’ipnosi (e l’auto-ipnosi) non funziona su tutti alla stessa maniera, e improvvisare è sempre meglio di no. Però, in linea generale, un aiuto lo può dare. Anche nello studio. I libretti universitari di Martini lo dimostrano.
 

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