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Staminali, viaggio a ostacoli nella sanità italiana

Depositare e utilizzare le cellule estratte dal sangue del cordone ombelicale è troppo complicato: molte donne rinunciano

Giulio Bucchi
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Forse anche il dottor Azzeccagarbugli ci avrebbe rinunciato. In Italia il mondo delle cellule staminali estratte dal sangue del cordone ombelicale è una gatta da pelare non da poco. Utili per la cura di un centinaio di patologie (linfomi e leucemie, talassemia, malattie genetiche e metaboliche, tumori neuronali), le staminali del cordone sono anche considerate una delle materie prime nelle terapie di medicina rigenerativa. Purtroppo in Italia il terreno è a ostacoli. Nonostante siano sempre di più le donne in gravidanza che decidono di conservare le preziose cellule (30 mila fra il 2005 e il 2010, già in crescita del 30% nel 2009 rispetto all'anno prima) il nostro Paese non ne consente la conservazione per l'uso autologo (l'utilizzo per sé stessi), quindi bisogna rivolgersi a banche private all'estero. Inoltre, c'è pochissima informazione al riguardo: non è facile trovare strutture idonee o adeguatamente attrezzate, così molte donne vi rinunciano. "Purtroppo i centri pubblici non sono sempre al top dell'organizzazione", spiega Debora Bonvissuto, responsabile scientifico di Futura Ricerca onlus, che sostiene e coordina progetti di ricerca volti all'impiego terapeutico delle staminali. "Quasi il 90% dei cordoni - continua Bonvissuto – finisce tra i rifiuti ospedalieri". Un ruolo ce l'ha persino la medicina "difensiva". "In alcuni ospedali italiani i medici già stressati dalle continue denunce per malpractice, temono che anche un piccolo dettaglio andato storto possa indurre la futura mamma a far loro causa". "Così - aggiunge l'esperta - molti ospedali si tutelano chiedendo salati ticket e cercando di dissuadere le partorienti in ogni modo". Le staminali si estraggono al momento del parto, in maniera sicura e indolore sia per la mamma che per il bambino. Si mantengono in vita attraverso la "crioconservazione", una tecnica di congelamento che le custodisce a una temperatura di - 196 gradi. Così potranno essere conservate anche per 25 anni e utilizzate per curare le malattie cui potrebbe andare incontro il proprio figlio nel corso della sua vita. Nel nostro Paese sono più di 20 le aziende che si occupano di crioconservazione nell'ambito privato e 19 le "biobanche" pubbliche.

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