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Prosciutto di Parma? Non proprio: cosa finisce davvero in tavola

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Attilio Barbieri
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I prosciutti italiani a indicazione d'origine sono in tutto undici. Per la precisione otto Dop (Denominazione d'origine protetta) e tre Igp (Indicazione geografica protetta). La differenza fra le due categorie di prodotti è presto detta: mentre le Dop devono sottostare al vincolo dell'origine della materia prima italiana, previsto dal disciplinare, le Igp si possono fare con cosce di suino provenienti addirittura da altri continenti. Purché provengano da maiali la cui razza sia elencata nel disciplinare e risponda a precise caratteristiche genetiche ed organolettiche. Ma non è detto che i prosciutti di Parma Dop vengano tutti da Parma, così come non è detto che il San Daniele Dop sia di San Daniele. Per verificare le zone d'origine dei più noti prosciutti italiani basta consultare i disciplinari che sono tutti disponibili online sul sito del Ministero dell'agricoltura alla url Politicheagricole.it. Di recente il Parma Dop ha chiuso l'iter di tre anni per modificare il disciplinare. Il via libera da parte della Commissione europea è arrivato soltanto lo scorso mese di novembre con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Ue del nuovo testo. E non è ancora finita: ci sono 90 giorni di tempo nel corso dei quali i soggetti aventi titolo possono avanzare obiezioni rivolgendosi direttamente alla Commissione. Qualora le obiezioni arrivassero da un altro Paese della Ue i tempi di approvazione del disciplinare potrebbero allungarsi addirittura di anni.

NUOVI REQUISITI
Il nuovo documento introduce cambiamenti decisivi sui requisiti del prodotto finito, sulle caratteristiche genetiche dei maiali, su quelle delle cosce e sull'alimentazione dei suini inclusi nella filiera. Ma soprattutto prevede l'estensione della zona di nascita, allevamento e macellazione dei suini all'intero territorio del Friuli Venezia Giulia, in precedenza escluso dalla Dop. Quando il disciplinare diventerà operativo - salvo sorprese a febbraio 2023 - i prosciutti di Parma si potranno fare con le cosce dei suini provenienti da Emilia Romagna, Veneto, Lombardia, Piemonte, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo, Lazio. E pure Friuli. La zona di produzione dei prosciutti, invece, «comprende il territorio della provincia di Parma posto a Sud della via Emilia» con una «distanza da questa non inferiore a 5 chilometri fino ad una altitudine non superiore a 900 metri, delimitato ad est dal corso del fiume Enza e ad Ovest dal corso del torrente Stirone». In pratica i comuni di Collecchio, Medesano, Sala Baganza, Felino, Langhirano, Calestano, Corniglio, Tizzano Val Parma, Palanzano, Neviano degli Arduini, Traversetolo e Montechiarugolo. Come si vede dalla tabella pubblicata in questa stessa pagina, la provenienza dei suini da un buon numero di regioni, oltre a quella dove le cosce vengono lavorate e stagionate non è un'eccezione. Il San Daniele Dop, ad esempio, include cosce di maiali nati e allevati in 10 regioni: Friuli Venezia Giulia, Veneto, Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo, Lazio. Il Toscano Dop da 6: Lombardia, Emilia Romagna, Marche, Umbria, Lazio, Toscana.

CRUDO DI CUNEO
L'unico prosciutto a indicazione d'origine la cui materia prima provenga da una sola regione è il Crudo di Cuneo Dop, il cui disciplinare ammette cosce di suini nati e allevati esclusivamente nelle province di Cuneo, Asti e parte della provincia di Torino. Mala collocazione extra regionale di fasi importanti nella produzione delle Dop, non è una caratteristica esclusiva dei prosciutti. Il 90% delle forme di Pecorino Romano Dop proviene infatti dalla Sardegna. Mentre una quota notevole di Bresaola della Valtellina Igp è fatta in realtà con carne importata di zebù, un bovino con la gobba allevato in Sudamerica, ma originario di Asia e Africa, ritenuto addirittura un animale sacro in India. Pure in questo caso, però, c'è poco da meravigliarsi. Con pochissime eccezioni per tutti i salumi Igp, non sussiste il vincolo geografico per l'origine della materia prima. I consumatori, però, dovrebbero poterla accertare leggendo attentamente l'etichetta: anche per i salumi, oltre che per la carne fresca è obbligatorio indicare il Paese d'origine dell'ingrediente primario, anche se il regolamento Ue consente una scappatoia che sa di fregatura: il salumificio può scrivere infatti «origine Ue e non Ue», assolvendo così all'obbligo di legge senza in realtà dire nulla sulla materia prima utilizzata.

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