Pappa al pomodoro e rivolta del proletariato

Dalla Toscana a Rita Pavone, un classico (politico). E c'è chi propone una versione scomposta (tipo schwa): un risibile delirio
di Andrea Tempestinivenerdì 22 agosto 2025
Pappa al pomodoro e rivolta del proletariato

2' di lettura

«Viva la pappa pappa col po-po-po-po-po-po po-mo-do-ro Viva la pappa pappa che è un ca-po-po-po-po-po po-la-vo-ro! Viva la pa-pa-pa-pa-pa col po-po-po-mo-dor!». Pensateci un attimo: altro che il compianto Ozzy Ousborne. Altro che i Righeira, «i messaggeri dell’apocalisse», la più straordinaria intuizione letteraria nella talvolta rispettabile bibliografia di Enrico Brizzi (Bastogne, il suo meglio passato in sordina).

Ciò che di più allucinato e ipnotico ci sia- s’intenda: parliamo della produzione musicale nostrana da cui Ozzy si affrancava per ovvie ragioni - è Rita Pavone. La prima versione della meraviglia scandita con acuti lancinanti risale al 1964, tecnicamente élite pura: canzone composta da Lina Wertmüller e Nino Rota, nacque come perno dell’adattamento televisivo de “Il Giornalino di Gian Burrasca”, divertimento didascalico. A conti fatti si trattava di un’in-credibile ode alla rivolta contro il cibo propinato ai giovinotti nei collegi, in questo caso non quelli d’élite ma una realtà periferica in parte conosciuta dalla Pavone, per certo non da Rota e men che meno dalla Wertmuller. Non a caso, la col «pa -pa -pa -pa -pa -pa po-po-po-po-po-po-modoro», nell'immaginario residuale e collettivo, è solo Rita Pavone. Rivolta. Ribellione criptata.

L’emancipazione del proletariato attraverso un piatto eccezionale. Anzi, iconico nella Toscana di chi lavorava la terra, quella dei corpi intermedi: una inattesa rivincita su un’aristocrazia che non poteva che riconoscere meriti a tale meraviglia culinaria. Pomodori freschi, pane raffermo, brodo vegetale, soffritto di cipolla o aglio, basilico a profusione, olio, sale e pepe q.b. Un soffritto, poi la mollica del pane raffermo, la polpa di pomodoro, il brodo e le foglioline. L’attesa, puntellata da mestolate di brodo, fino a che il pane non si sfalda trasformandosi in un tutt'uno cremoso, omogeneo, orgoglioso.

La pappa al pomodoro al giorno d’oggi la propongono in molti perché è semplice, povera e sublime. Renderla la meraviglia che può essere, però, è virtù di chi sa come fare. Orgoglio semplice, maremmano. Origini sacre e rurali, laddove la sacralità non è una convenzione ma una consuetudine.

La pappa al pomodoro è strepitosa e quindi puntualmente profanata, destino comune a ogni eccezionalità. C’è chi la propone scomposta (la schwa delle pappe al pomodoro: un risibile delirio). C’è chi la svende come “gazpacho toscano” (che vuol dire?) e chi sferifica il pomodoro. Con piglio deciso ma non volgare suggerirei ai blasfemi di pensare ad altro. Intrattenetevi altrimenti. Zitti e mosca, onorate la semplicità straordinaria di un qualcosa che il fichetto non può concepire.