Presentato nei giorni scorsi a Roma il ‘manifesto per i diritti dei pazienti oncologici’ promosso da ‘Salute Donna onlus’ insieme ad altre 9 Associazioni di pazienti per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle disuguaglianze nell’assistenza sanitaria tra le Regioni, anche perché in Senato si discute in questi giorni sulla riforma del Titolo V della Costituzione, che in realtà non prevede un forte ruolo del Governo in materia di sanità. “L’opportunità della modifica della Costituzione e quindi anche del titolo V deve affrontare e risolvere il problema delle disparità nelle Regioni – conferma il professor Francesco De Lorenzo, presidente della Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (FAVO) - È necessario che si creino le possibilità per assicurare ai cittadini malati, ovunque essi risiedano, lo stesso trattamento. Questo significa che se non si da allo Stato la possibilità di intervenire con un potere sostitutivo nei confronti delle Regioni per assicurare l’erogazione delle prestazioni previste dai Livelli essenziali di Assistenza (LEA), significa che in futuro lo Stato continuerà a dare i soldi a tutte le Regioni per fare assistenza domiciliare e cure palliative e nel sud Italia non si farà né l’una né l’atra, così come è necessario garantire che si elimino i prontuari regionali e che venga assicurata ai malati di cancro, ovunque essi risiedano, l’accesso ai farmaci innovativi subito dopo l’approvazione dell’AIFA. Non è più possibile e tollerabile che i malati di alcune regioni muoiono perché non hanno accesso ai farmaci e se non si interviene su questo punto con la modifica del Titolo V, è una presa in giro e si avalla ancora di più che non esiste un solo servizio nazionale ma ne esistono venti”. In Italia 1 italiano su 3 si ammala di tumore nel corso della vita e i dati evidenziano come nel 2012 siano stati ricoverati oltre 770 mila pazienti in una Regione diversa da quella di appartenenza: “Il manifesto ha lo scopo di aiutare i malati a ridurre le migrazioni da sud verso nord e all’Estero – afferma Anna Maria Mancuso Presidente di Salute Donna onlus - con particolare attenzione alla qualità e alla omogeneità delle prestazioni oncologiche che sono fondamentali per le cure. Inoltre ad avallare queste difformità ci ha pensato la recente entrata in vigore della direttiva europea 2011/24/UE, che riconosce ai cittadini europei il diritto di curarsi in qualsiasi Paese dell’Unione e che a giudizio dei pazienti è stata recepita senza prevedere alcun sostegno per le spese di viaggio, favorendo un flusso migratorio dall’Italia verso altri Paesi europei solo a vantaggio delle fasce sociali ad alto reddito. «Abbiamo deciso di mobilitarci perché continuiamo a riscontrare troppe, inaccettabili differenze nella qualità dell’assistenza sanitaria da Regione a Regione in alcune realtà bisogna scegliere se accontentarsi di un’assistenza sanitaria non adeguata e non tempestiva, mettendo a rischio le chance di sopravvivenza, o se affrontare spese ingenti o addirittura indebitarsi per andarsi a curare altrove. Tutto questo è ingiusto e inaccettabile ed è in palese contrasto con gli articoli 3 e 32 della Costituzione che sanciscono l’uguaglianza dei cittadini e la salute come diritto». Il manifesto. Le associazioni dei pazienti chiedono che venga ufficializzato a livello costituzionale il ruolo dello Stato come garante dell’uniformità sul territorio nazionale delle prestazioni sanitarie e sollecitano inoltre un’authority nazionale di controllo della qualità delle prestazioni in Oncologia e l’istituzione di un centro oncologico specialistico di riferimento per ogni Regione. Il Nord assorbe il 55,1% della mobilità attiva: all’opposto, al Sud tutte le Regioni, tranne il Molise, hanno un saldo negativo. Complessivamente le risorse mobilitate per le cure extra-regione nel 2012 sono state pari a circa 4 miliardi di euro. «Negli ultimi 15 anni è aumentato il divario tra le Regioni del Nord e quelle del Sud in termini di capacità di attrarre pazienti da altre Regioni. Malgrado i forti incentivi a non perdere risorse per pagare la mobilità, molte Regioni del Sud non hanno saputo investire per rafforzare i loro sistemi sanitari - afferma Giovanni Fattore, professore ordinario e direttore del dipartimento di analisi delle politiche e management pubblico, ricercatore senior del CERGAS, università Bocconi, Milano - La mobilità sanitaria ha dato una via d’uscita ai pazienti di fronte a servizi locali di qualità modesta e quindi ha ridotto la pressione sociale affinché si investisse nei contesti locali, generando un ulteriore degrado della Sanità del Sud Italia». Nonostante sia importante lasciare libero il paziente di decidere dove curarsi, bisogna creare un sistema di trasferimento delle competenze nel sud Italia: modelli organizzativi, protocolli assistenziali, competenze gestionali e professionalità. «Ogni giorno noi clinici assistiamo persone che arrivano da altre Regioni per trovare cure e assistenza migliori nei nostri ospedali. I motivi di questa fuga sono diversi ma nella maggior parte dei casi il paziente ‘fugge’ dalla propria Regione perché non trova i servizi e la tecnologia adeguati - afferma Paolo Marchetti, professore ordinario di oncologia medica, direttore di u.o.c. oncologia medica, a.o. Sant’Andrea di Roma. Le breast unit. Sono un modello di assistenza che argina la migrazione sanitaria ed assicurano una ‘cura completa’ per le pazienti con tumore al seno così come dichiara Patrizia Frittelli, coordinatrice breast unit e responsabile u.o. di chirurgia senologica presso l’ospedale Belcolle di Viterbo, direttivo ANISC, Associazione Nazionale Italiana Chirurghi Senologi: «Equipe multidisciplinare, professionisti formati, protocolli standardizzati, elevato volume di attività, controlli di qualità e presa in carico completa della paziente dal momento della diagnosi, fino al follow up e alla riabilitazione è ciò che caratterizza il modello breast unit, che riesce a garantire un significativo aumento della sopravvivenza e a ridurre la migrazione sanitaria». (GIOIA TAGLIENTE)