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Silvio fa Nerone a teatro con un finale a sorpresa. E la gente applaude

Nicoletta Orlandi Posti
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Teatro Manzoni di Milano. Va in scena lo spettacolo Nerone. Duemila anni di calunnie di Edoardo Sylos Labini, liberamente tratto dall'omonimo saggio (Marsilio) di Massimo Fini. Sono ansioso di immergermi nelle stravaganze di Nerone, nelle feste della Domus Aurea, negli intrighi di Agrippina, nelle morbide carni di Poppea, nelle ipocrisie di Seneca, sempre pronto a predicare bene e a razzolare male. Il mio posto sarebbe nel centralissimo palco 24 (i privilegi dell'accredito…), ma arrivo con qualche minuto di ritardo e mi fanno accomodare nel palco accanto. Lo spettacolo è già iniziato, l'imperatore scende dal palcoscenico in platea, tra le prime file. Si appella al popolo, contro i senatori, i cavalieri, i pubblicani, insomma i poteri forti, ostili alla sua riforma fiscale. Vorrebbe abbattere i privilegi dei nobili, abbassare le tasse ai poveri e stimolare i consumi per salvare le casse dell'impero. Intorno a me è ovviamente tutto buio. Cerco una sedia e lo sguardo mi cade verso sinistra. Il mio ex palco (il 24) è completamente vuoto. Appena oltre, però, c'è gente. Tizi assai robusti in piedi e una seduta, con gli occhiali, tutta concentrata concentrata. Il pubblico interrompe con gli applausi il monologo di Nerone. Anche la persona alla mia sinistra applaude convinta e sorride, visibilmente compiaciuto delle parole che sta ascoltando. Evidentemente, si sta immedesimando più di ogni altro. Beh, non ha poi tutti i torti. E' Silvio Berlusconi. Nel suo teatro. Da solo (scorta a parte). Una domenica pomeriggio da dedicare al personaggio storico più vituperato di sempre. "Ha incendiato Roma, ha ucciso la madre, ha ucciso il fratello, è l'Anticristo, ama il popolo, è pazzo", scandisce di continuo un coro in sottofondo. Duemila anni sono un record difficile da battere, ma Silvio un ventennio buono lo può mettere sul piatto. Probabilmente ci starà pensando… Nerone intanto rivendica di governare non solo in nome del popolo – ipocrisia di stampo augusteo – ma per il popolo, fornendo panem et circenses, rivendicando un ruolo da showman ("Quale artista muore con me!", le sue ultime parole famose), l'invenzione della politica spettacolo… Faccio notare l'illustre presenza alle mie compagne di palco – tre ragazze carine e vestite di tutto punto (io sono in jeans stracciati e maglietta: il ragazzaccio Nerone, abituato a travestirsi da schiavo per le sue scorribande notturne nelle peggiori bettole apprezzerebbe, Silvio meno). Ci giriamo tutti. Nerone continua a parlare, ma per noi è come se le parole uscissero dalla maschera del Cavaliere. A un certo punto l'imperatore mostra come si manipola la folla, la plebs che va in visibilio per le sue doti istrioniche. Un attore, salito sul palco proprio tra me e Silvio, interpreta il popolo: "Bravo", "Grazie", "Grazie", "Bravo". Gli spettatori, nel buio, non possono accorgersene: sentono solo una voce stentorea proveniente dall'alto. Ma per noi, lì vicino, non è un botta e risposta a due. E' una sorta di triangolo, con un convitato di pietra che diventa all'improvviso, suo malgrado, il vero protagonista. E' Silvio, non più Nerone, quello che pensa in grande stile, che cerca di modellare il mondo sulle proprie intuizioni e immaginazioni - o illusioni (torna in mente la satira del "Ghe pensi mi"). Sulla scena, intanto, muore Poppea, muore Seneca, muore l'imperatore. Il viso di Silvio si fa più perplesso. Ma poi gli attori (davvero bravi) escono a prendersi gli applausi e Sylos Labini, toltasi la parrucca da Nerone, promette di tornare a Milano per l'Expo con una versione speciale e dedica lo spettacolo "al Presidente". Tutti si accorgono di Silvio, che si alza in piedi e appare altissimo (ma che tacchi ha? uno dei trucchi scenici ereditati dal nostro Enobarbo?). Applausi, acclamazioni, invocazioni, strette di mano, abbracci (con una attempata signora bionda), foto e selfie. Sembra di essere in un teatro greco del 67 d.C., in occasione di una delle 1.808 vittorie di Nerone. Chissà se, in tempi di apertura ai matrimoni gay, Silvio sa – lo spettacolo non lo ha raccontato – che Nerone, poco prima del suo canto del cigno, aveva sposato, da marito, l'eunuco Sporo, mentre già in precedenza, da moglie velata, era convolato a nozze con il doriforo Pitagora... di Miska Ruggeri

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