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PiazzaPulita, processo a Sergio Cofferati: gli attacchi di Paolo Mieli, il "turbo-renziano"

Andrea Tempestini
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Nella puntata di lunedì sera di Piazzapulita, è andato in onda il processo a Sergio Cofferati, "reo" di aver abbandonato il Pd in polemica con la candidatura di Raffaella Paita, e "reo" (almeno secondo Simona Bonafè e Paolo Mieli) di aver condannato il Pd alla sconfitta in Liguria. Il "cinese" si è difeso lottando come un leone, tuonando contro Matteo Renzi e il Pd, insistendo sulla presunta irregolarità delle primarie liguri e ribadendo il sospetto di infiltrazioni fasciste ("Mi sono ribellato all'accordo coi fascisti", sparava Cofferati). La renzina Simona Bonafè, da par suo, faceva notare che la somma dei voti raccolti dal Luca Pastorino (il candidato "di Cofferati) e dalla Paita avrebbe permesso al Pd di prendersi la regione e piegare Giovanni Toti, ma Cofferati rifiuta la tesi: "Ma per favore. Chi ha votato Pastorino non avrebbe votato la Paita neppure sotto tortura". Mieli infervorato - Ma nel corso del processo al "cinese", chi si è distinto per il fervore è stato Paolo Mieli, che ha accusato senza mezzi termini Cofferati di aver teso uno "sgambetto" alla Paita e, dunque, a Renzi. Il direttore di Rcs Libri imputa la sconfitta in Liguria proprio al "cinese", dunque si produce nel monito: "Se lo stesso schema verrà ripetuto anche alle prossime elezioni, sa chi vincerà? Berlusconi. Vincerà ancora Berlusconi. Se è questo il risultato che volete ottenere...". L'ex direttore del Corsera, insomma, si palesa come il più renziano dei renziani, e si scaglia ancora contro Cofferati: "Lei si ribella a quello che definisce l'accordo con i fascisti, e sa qual è l'unico risultato che ha ottenuto? Ha consegnato la Liguria alla Lega Nord. Alla destra". Scintille con l'Annunziata - Ma non è finita. In studio c'era anche Lucia Annunziata, che affermava di credere alla buona fede di Rosy Bindi: secondo la direttrice dell'Huffington Post, Rosy, con la lista degli impresentabili presentata proprio alla vigilia del voto (e con cui ha impallinato Vincenzo De Luca), non avrebbe sfruttato il suo ruolo alla Commissione antimafia per fini politici. E Mieli, of course, la pensa in tutt'altro modo, e spiega che l'iter giusto sarebbe stato quello di presentare prima i candidati alla commissione, cosicché potesse valutare per tempo. Una valutazione che avrebbe agevolato il premier. Una soluzione "caldeggiata" dal turbo-renziano Mieli.

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