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Entro il 2020 la produzione americana di petrolio supererà quella saudita

Wwf e Greenpeace commentano il rapporto dell'Agenzia internazionale dell'energia

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Londra, 13 nov. (Adnkronos/Dpa) - Entro il 2020 gli Stati Uniti supereranno l'Arabia Saudita quale maggiore produttore di petrolio nel mondo. E' quanto sostiene l'Agenzia internazionale dell'energia (Aie) nelle sue previsioni annuali sulle forniture e la domanda di energia. Secondo l'Aie, l'aumento della produzione negli Usa e l'introduzione di veicoli sempre più efficienti in materia di consumi hanno fatto diminuire considerevolmente la dipendenza dalle importazioni di energia dall'estero, al punto che "il Nord America diventerà un esportatore netto di petrolio nel 2030". Allo stesso tempo, l'Asia continuerà a sostenere la domanda globale di energia, che dovrebbe crescere di oltre un terzo entro il 2035, passando dagli attuali 87,4 milioni di barili al giorno registrati nel 2011 a 99,7 milioni di barili al giorno. Il prezzo del petrolio, sempre secondo l'Aie, crescerà moderatamente in concomitanza con la domanda. Il greggio arriverà a circa 125 dollari al barile in termini reali nel 2035, dai circa 108 dollari registrati attualmente. "Le emissioni di CO2 derivate dalla combustione di combustibili fossili stanno destabilizzando il nostro clima. Non possiamo consumare combustibili come il carbone e il petrolio a tempo indeterminato senza pagarne il prezzo sotto forma di instabilità climatica, siccità, ondate di calore e forti tempeste". Ad affermarlo in una nota è Samantha Smith, leader Wwf Global Climate & Energy Initiative commentando il rapporto 'World Energy Outlook' dell'Aie, e sottolineando che "i due terzi di tutte le riserve di combustibili fossili accertate devono rimanere nel sottosuolo, se il mondo è seriamente intenzionato ad evitare i cambiamenti climatici catastrofici". Questa valutazione scientifica, rileva Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del Wwf Italia, "deve essere sentita chiaramente da tutti i Paesi, gli investitori e l'industria dei combustibili fossili stessa. Non si tratta solo di fermare tutte le nuove esplorazioni per l'estrazione di combustibili fossili su larga scala, come quelle nell'Artico, ma anche di dismettere le infrastrutture energetiche esistenti: è il prezzo da pagare per evitare il disastro climatico globale. Abbiamo bisogno di cambiare velocemente il paradigma energetico, se vogliamo evitare una catastrofe climatica". Questa necessità, sottolinea Midulla, "si riverbera a livello nazionale: è miope dare avvio a trivellazioni su larga scala, come invece dichiara la bozza di Strategia Energetica Nazionale, quando oggi e domani le priorità devono essere risparmio ed efficienza energetica e fonti rinnovabili". Per il Wwf, i governi, gli investitori e le imprese devono seguire l'avvertimento dell'Aie. "L'Agenzia -sottolinea Smith- afferma chiaramente che non è ancora troppo tardi per fare qualcosa per il clima e il messaggio forte rivolto a tutti noi è che abbiamo bisogno di agire a partire da oraì'. Il Wwf chiede nuovi grandi investimenti globali nelle energie rinnovabili pulite e, nel contempo, un piano di dismissione delle infrastrutture per i combustibili fossili. "Sosteniamo pienamente l'Aie secondo cui gli investimenti in fonti rinnovabili pulite e l'efficienza energetica devono moltiplicarsi in quei Paesi che hanno già avviato la transizione energetica, e deve iniziare immediatamente nei Paesi in ritardo", dice Smith. Il Wwf osserva che alcuni paesi industrializzati, come la Germania e la Danimarca, stanno già facendo la loro parte. Altri hanno bisogno sia di aumentare radicalmente i loro investimenti interni che di investire in una transizione equa per le energie rinnovabili in paesi a basso reddito. "Occorre tagliare i sussidi ai combustibili fossili e reindirizzare il denaro verso le energie rinnovabili pulite, l'accesso all'energia pulita e al risparmio energetico è assolutamente essenziale" sottolinea Midulla. "Il rapporto Aie viene pubblicato proprio mentre finisce sott'acqua, per l'ennesima volta, gran parte del centro Italia. Ma continuiamo a essere sordi dinanzi a segnali inequivocabili: il clima sta cambiando e noi dobbiamo presto fare qualcosa". Ad affermarlo in una nota è Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia commentando l'ultima edizione del World Energy Outlook della Aie che mostra come, da qui al 2035, circa metà della nuova produzione di elettricità che andrà in rete verrà da fonti rinnovabili. Un dato, sottolinea l'associazione ambientalista, che "sembra positivo ma che non lo è. Si tratta invece di una quota largamente insufficiente a contenere le emissioni di gas serra nella misura necessaria a evitare il caos climatico che ci attende. L'Aie stima che, al 2035, uno sviluppo organico delle politiche di efficienza potrebbe portare a una riduzione dei consumi energetici pari a un quinto del loro totale: a patto, però, che vengano rimosse le barriere di mercato e burocratiche". Per quanto il rapporto dia una forte crescita delle rinnovabili, sottolinea Greenpeace, "è necessaria una crescita doppia rispetto a quella prefigurata: non raggiungere il 65% della quota di elettricità verde sul totale entro il 2035 equivarrebbe a confermare una tendenza al riscaldamento globale che vedrebbe aumentare le temperature tra i 4 e i 6 gradi Celsius. Senza piani più ambiziosi per le rinnovabili, infatti, l'Aie mostra come da qui al 2025 potrebbero essere realizzate 700 nuove centrali a carbone: un disastro per il clima, per l'inquinamento atmosferico, per le risorse idriche e per molti ecosistemi minacciati dalle estrazioni del combustibile più sporco e dannoso". La Strategia Energetica Nazionale promossa da questo Governo, sottolinea l'associazione ambientalista, "è un vero pasticcio: disegna un Belpaese che somiglia al Texas, alla ricerca di poche gocce di petrolio, e non sostiene in modo credibile e sufficiente la crescita delle rinnovabili e dell'efficienza energetica". Peraltro, rileva, "non vi si fa parola del carbone: ma ad oggi ci sono sul tavolo quattro nuovi progetti di centrali alimentate con quel combustibile. Mentre la stessa Germania, che qualcuno definisce la 'locomotiva d'Europa', punta in modo deciso sulle fonti rinnovabili con quote superiori al 50% nel settore elettrico al 2020 -conclude Boraschi- noi ci riserviamo come sempre il ruolo del fanalino di coda: non facciamo nulla per salvare il clima e al contempo miniamo lo sviluppo produttivo, tecnologico, occupazionale e ambientale del Paese".

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