Game of Thrones, arriva la quarta stagione. Tutti pazzi per il fantasy "nuovo Tolkien"
Il fantasy è un genere narrativo simile alla musica metal o all'Arte Povera: o ci sei dentro o non riuscirai mai a recepire le emozioni di una saga, capire i significati di una sedia rovesciata e, soprattutto, distinguere le differenze in un monoblocco di chitarre elettriche sferraglianti. Per i profani, il fantasy si riduce a lotte sanguinose nelle brume tra gente vestita di pelliccia con nomi impossibili da pronunciare, mentre in cielo svolazza almeno un dragone. Se si compie un passo in più e si supera questa visione superficiale si potrà finire ammaliati da questi racconti infiniti che si distendono anche in quadrilogie per un totale di migliaia di pagine. E anche di stagioni televisive. Del Trono di Spade, per esempio, tratto dal ciclo Cronache del ghiaccio e del fuoco scritto da George R. R. Martin, sono previste otto stagioni. Tre sono già andate in onda con un buon seguito, la quarta inizierà il 9 aprile sul nuovo canale Sky Atlantic, trasmessa in contemporanea con l'America. L'hanno presentata a Milano qualche giorno fa tre dei molti protagonisti di questo lavoro corale, Liam Cunningham, che interpreta Davos Seaworth, Sophie Turner e Maisie Williams, sorelle nella fiction, rispettivamente Sansa e Arya Stark. Grande attesa - L'attesa dei fan è simile sui due lati dell'Atlantico e nessuno sa cosa potrà accadere. Poche sono le notizie trapelate e del tutto marginali ai fini della storia. Come il nome della band musicale che viene scelta per un cameo in ogni stagione. L'anno scorso toccò a Will Champion, il batterista dei Coldplay, quest'anno agli islandesi Sigur Rós. «La produzione fa di tutto per evitare che si possano diffondere notizie sulla sceneggiatura e gli spoiler che qualcuno mette in giro sono sempre inaffidabili. Inoltre è inutile basarsi sui libri, in quanto Martin non ha ancora finito di scrivere la sua saga. I suoi spunti sono sviluppati da una squadra di sceneggiatori», precisa Cunningham. Maisie va oltre: «Quando i fan mi fermano per strada e mi chiedono cosa succederà negli episodi futuri io rispondo che non lo so. Perché nessuno di noi legge la sceneggiatura completa, ma solo le parti che ci riguardano. Ignoriamo del tutto cosa è stato fatto dagli altri attori in location lontanissime tra loro come possono essere la Croazia, l'Islanda e Malta. E poi io non ho nemmeno letto i romanzi di Martin, anche se a grandi linee so cosa raccontano». La ragazza è giustificata anche dal fatto di essere giovanissima, compirà 17 anni a giorni, e il ciclo di Martin ha dei momenti non proprio per educande, essendo molto esplicito in certi momenti di sesso e violenza. Ma sarebbe folle volerne concentrare qui la trama. Mondo immaginario - Diciamo solo che siamo in un mondo immaginario suddiviso in due continenti. Nella parte occidentale di questa terra, nella capitale chiamata Approdo del Re, c'è il Trono di Spade la cui conquista è causa di lotte tra le grandi famiglie, soprattutto i Lannister, i Baratheon e gli Stark. Non ci sono confini chiari tra amici o nemici, buoni o cattivi. Come in un governo di grandi alleanze le cose cambiano ogni giorno, soprattutto in seguito ai matrimoni tra membri delle diverse famiglie. Al punto che la prima stagione della serie era stata lanciata in America con lo slogan «I Sopranos nella Terra di Mezzo». «Per qualcuno nel serial ci sono fin troppi matrimoni», risponde Cunningham. «Non posso anticipare se ve ne saranno anche in futuro. Ma sono sempre divertenti. In Irlanda diciamo che ogni banchetto di matrimonio serve a farne nascere altri». Perché Liam Cunningham è irlandese e mi mostra anche il passaporto quando, con una gaffe, lo prendo per americano. «Non ho nulla contro gli americani. Ne ho conosciuti anche di degni. Circa quattordici», chiosa con umorismo alla Wilde. Però ha lavorato con gli americani per la realizzazione di questa serie che, come tutto il fantasy, pur non avendo alcuna precisa collocazione temporale, fa pensare al Medio Evo, un periodo che negli Usa non conoscono molto bene. E lui, attore europeo, si è dedicato a una preparazione storica prima di girare? «Gli americani hanno un'idea stravolta di Medio Evo, come ha dimostrato Walt Disney nei suoi film pieni di castelli del tutto inventati», dice Cunningham. «Prima di affrontare le mia parte, non ho voluto assolutamente leggere niente sul periodo. Perché il fantasy non è ambientato nel Medio Evo, è astorico pur essendo eterno in quanto racconta quelle lotte che nascono dall'avidità umana verso il potere. Cose raccontate da sempre, dalla tragedia greca a Shakespeare fino alle attuali storie ambientate a Wall Street». Questa componente di gioco crudele per la conquista del trono si è persa nel passaggio dal titolo originale, The Game of Thrones, a quello italiano in cui il riferimento a un trono di spade fa pensare a un mondo tutto maschile. Che ne pensano due delle protagoniste femminili, come le sorelle Stark? Terribile vendetta - «Non è proprio così», risponde ancora una volta Maisie Williams, mentre Sophia Turner continua silenziosa a divorare patatine. «Non credere che nella storia ci siano solo uomini che combattono mentre le donne se ne stanno alla finestra ad attenderli. Arya, il mio personaggio, era ancora molto piccola nella prima stagione, crescendo si è caricata sempre più di odio verso i Lannister e pronta a consumare la sua vendetta. Arya è un maschiaccio, una ribelle. È stata la prima bambina ad avere ucciso una persona in tutta la saga. È una che sin da piccola ha vissuto in mezzo a gente che lotta e si odia. E io stessa sul set devo sempre essere cupa e imbronciata, concentrata sul mio obiettivo vendicativo. In ogni scena sono impegnata a litigare o a gridare con qualcuno. Tanto che a volte mi domando: “Ma mi farete ridere prima o poi?”». La risposta, ammesso che ve ne sia una, non si può dare. L'imperativo su tutti i forum mondiali dedicati al Trono di Spade è sempre lo stesso: chi sa, non parli. Tra le tante decapitazioni, le uccisioni, le battaglie e i fiumi di sangue che scorrono nella serie, lo spoiler resta il crimine più grave. di Tommaso Labranca