Virzì, il suo Capitale umano è stato bocciato
Umiliati e offesi. Non è la prima volta. Nell'ultimo decennio la storia della corsa all'Oscar per il miglior film straniero è costellata d'insuccessi del cinema italiano. Tranne lo scorso anno che registrò il trionfo annunciato (e magari esagerato) di La Grande Bellezzadi Paolo Sorrentino, i film nostrani in concorso sono stati quasi sempre inesorabilmente esclusi dalle eliminatorie. Se l'Oscar fosse la Champions, ci faremmo la figura delle squadre meschinette che non arrivano agli ottavi. Stavolta la meschinetta si chiama "Il capitale umano" di Virzì. Che (l'ha annunciato ieri l'Academy) è stata esclusa dalla pattuglia delle nove pellicole finaliste. Sinceramente non me l'aspettavo. Sinceramente contavo non certo sulla vittoria finale (troppa grazia lo scorso anno con Sorrentino) ma su un onorevole piazzamento sì. Il capitale umano mi sembrava non solo un film valido, ma anche decisamente commestibile per il pubblico americano. Anche perché la trama partiva come americana, un giallo ambientato nel Connecticut, che Virzì aveva scoperto non troppo dissimile dalla nostra Brianza. Non ci pareva merito da poco (quante volte abbiamo rimproverato ai nostri cineasti di fare film poche esportabili, commedie del tutto estranee per ogni pubblico al di là delle Alpi?). La batosta a Virzì (e all'Italia) ci arriva ancor più inaspettata, perché per una volta ci eravamo trovati d'accordo con la commissione di selezione. Caso non troppo frequente. Spesso a selezionare sono le lobby oppure «esperti» che credono (sbagliando) di sapere cosa piace alle giurie di Los Angeles e cosa no. Ma stavolta il nostro consenso era totale. Perché Il capitale umano non solo era il film italiano più bello dell'anno. Ma era anche l'unico bello. Che ci mandavamo in alternativa? Le meraviglie di Alba Rohrwacher, premiato al Festival di Cannes? Ma a Los Angeles se ne fregano di Cannes (e difatti hanno snobbato anche il film Palma D'Oro). Qualcuno magari oggi suggerirà Il giovane favoloso di Mario Martone. A parte le difficoltà a buttarlo in lizza (per concorrere bisogna avere il «general release»), Il favoloso è stato giudicato da favola solo dal pubblico nostrano. Quattro mesi a Venezia non ci fu un recensore anglosassone, dico uno, a scriverne bene (e si spiega per loro le cinebiografie di poeti sono pane quasi quotidiano). E allora qualcuno si chiede inevitabilmente: la concorrenza per Il capitale era così forte così indiscutibile, da rendere ovvia la bocciatura? Beh, giudicate voi. Eccovi l'elenco dei magnifici nove: Ida (Polonia) di Pawel Pawlikowski, Wild Tales (Argentina) di Damißn Szifrón, Tangerines (Estonia) di Zaza Urushadze, Corn Island (Georgia) di George Ovashvili, Timbuktu (Mauritania) di Abderrahmane Sissako, Accused (Olanda) di Paula van der Oest, Leviathan (Russia) di Andrey Zvyagintsev, Force Majeure (Svezia) di Ruben Ostlund, The Liberator (Venezuela) di Alberto Arvelo. Solo di Ida possiamo parlare (bene) con cognizione di causa (è passato a novembre sui nostri schermi). O meglio, la cognizione c'è anche per Wild tales che col titolo Storie pazzesche è in programmazione anche da noi da una decina di giorni. Gli abbiamo dato (senza esitazioni) due stellette. Al Capitale umano volevamo darne quattro. O siamo noi ad avere le traveggole. Oppure le cose pazze avvengono anche nelle sale dell'Academy. Giorgio Carbone