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"Non mi sono rinc***, mi vogliono così. Ho dato a Pier Silvio...". Chiambretti, intervista bomba a Libero

Giulio Bucchi
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Rieccolo. Piero Chiambretti - detto Pierino anche se è del '56- è nato ad Aosta, tifa Torino ed è una delle menti più aguzze della tv. Dal 1985, con una cintura di tritolo satirico, si aggira tra i palinsesti col compito di farli saltare. C' è quasi sempre riuscito. Tranne quando, assegnato al controcanto dell' Isola dei Famosi, sbracò tra ragazze poppute, spogliarelli, piselloni e una giungla di doppisensi. E io scrissi che preferivo ricordamelo da vivo. Caro Chiambretti, in effetti, poi sei tornato come il Conte di Montecristo in Chiambretti Matrix. Hai invertito la rotta e col nuovo programma La Repubblica delle donne, ora diventi uno dei volti giornalistici della Rete4 di Sebastiano Lombardi. Ma, scusa che c' azzecchi, tu, con il vecchio canale di Emilio Fede e delle telenovelas?  «Accetto sempre scommesse fuori dall' ordinario. Forse m' incarnerò in Tempesta d' amore, o forse mi adatterò a questo progetto editoriale nuovissimo. Repubblica delle donne era il sottotitolo di Matrix Chiambretti. L' ho usato per rassicurare il mio spettatore abituale. E la cifra è la stessa: una visione a 360° del mondo femminile, visto da un uomo. È un manifesto femminile, se vuoi, ma non femminista». Tu sei considerato un mix fra Raimondo Vianello e Robin Williams. Sei stato d' una geniale tenerezza nei programmi per ragazzi. Hai aperto la strada a tutte Le Iene del mondo col Portalettere. Hai sdoganato la narcosi della cultura in tv, rendendo le università una specie di Late Show ne Il Laureato. Hai spinto nella notte, sempre più in là, distillati d' intelligenza con tutte le reincarnazioni di Markette. Hai impresso la svolta satirica a Sanremo.  «Mmmh - taglia corto -, dove vuoi arrivare?». Ok. Non ritieni negli ultimi anni di esserti ripetuto troppo con i talk trasgressivi? Non hai esagerato nell' alzare l' asticella (ricordo le puntate, per esempio, assai ineleganti, con Maurizia Paradiso)?  «Se mi dici che mi ripeto da un lato è una legittima critica, da un altro è un complimento: anche Monet o Warhol si muovevano all' interno della medesima griffe». Piero, dài, non è che devi dare una badilata di cultura per convincerci. E convincerti «Io penso di essere sufficentemente istrionico per valorizzare i contenitori in cui mi piazzano. Mi hanno detto di fare il contraltare dell' Isola? E ho deciso di mostrarne i lati oscuri e grotteschi. Eppoi sai bene che a Canale 5, dove sto da nove anni, le ripetizioni sono una cifra stilistica. Si deve tener conto di una certa - diciamo - regolarità: programmi sempre con gli stessi ospiti che parlano sempre dalle 7 a mezzanotte, e transitano da una trasmissione all' altra. Ma non solo da noi». Cioè mi stai dicendo che Mediaset ti blocca l' estro creativo?  «Beh, non è che con gli anni io sia diventato deficiente, scusa». Mai detto questo «Però l' hai pensato. Guarda, io ho pure presentato un progetto nuovo, la mia naturale evoluzione. Piersilvio ha una mia striscia quotidiana di 25 minuti. Si chiama Attenti a quei due, è un format senza ospiti, ma non ti dico chi sono i due, perché è un programma molto figo e non vorrei che me lo scippassero con la solita scusa che "le idee sono nell' aria". Ci vorrebbe una puntata zero, e qualche mese per testarlo. Ma è fermo: i dirigenti hanno voluto scegliere la via più sicura. Prima o poi il cerchio si chiuderà. E se non si chiuderà vuol dire che non si doveva chiudere». (e qui sfila un sospiro: come per Totò, Keaton e tutti i grandi comici, in Pierino emerge tutta una sua vena crepuscolare, ndr). Ti sento di un pessimismo cosmico. Forse non ti piace la tv d' oggi?  «La tv oggi non ha i denti, gli consentono solo di deglutire roba rimasticata. Il palinsesto è lottizzato, non ci sono piani di fuga. E quando vogliono un cambiamento è sempre al ribasso, il loro obiettivo non è il prodotto, ma vendere saponette. Ma non è solo in tv, vale per la musica, per la radio». Che differenza c' è tra la tv del duopolio Rai-Mediaset che ti ha lanciato, e quella di oggi, dei mille canali digitali, della mitica parcellizzazione degli ascolti?  «Negli anni '90 si sperimentava, la creatività era un atout: per chi arrivava con un' idea buona (e anche non buona) partivano i grandi contratti, i lauti guadagni. Per tutti. Fu in quegli anni che nacquero gli agenti. Questo fino al '95, poi con la crisi non si volle più rischiare e iniziarono i programmi a loop. Rai e Mediaset si spartivano le serate, con la coda di Telemontecarlo; il lunedì vinci tu con la fiction, il sabato vinco io col varietà, e così declinando». Nostalgia canaglia, eh?  «Ma no. Mi manca un po' il gusto del rischio, la corsa di Angelo Gugliemi (direttore della Raitre dei miracoli, ndr) a programmi che dovevano spiazzare. Ma non parlo solo di me. Per dirti: Carlo Freccero estrasse il commisario Rex dal canile pomeridiano e lo mise alle 20: un tripudio d' ascolti». Nove anni fa, dopo La7 hai avuto l' occasione per andare a Sky. C' era già l' accordo, molti soldi, potevi sperimentare come cavolo volevi. Perché, alla fine, hai scelto Mediaset?  «C' erano tutte le premesse per ottimi ascolti, è più facile lavorare per chi non deve guardare l' audience; non sei costretto, a rincorrere con l' affanno gli spettatori "di massa", caricati su un pullman e portati a spasso tra un programma e l' altro. Ma per uno abituato ai grandi numeri, l' audience è una droga, e quindi scelsi il Biscione. Oggi non vedo geni all' orizzonte di Sky, ma solo una tv di grande risonanza in cui non mi riconosco. A parte le serie, si tende a sopravvalutare oggi chi sta in onda». Beh, dai, qualcosa di buono c' è: Gomorra, Masterchef, X Factor «Di X Factor, dei talent, non sono un fan. E al posto dei cuochi Masterchef preferisco quelli dei miei tre ristoranti a Torino. Anche perché Masterchef ha imbastardito l' arte della cucina. Guardano Cracco e pensano tutti che fare lo chef significhi urlare e brandire il coltello. Ecco, si salvano le serie, anche se io di Gomorra non capisco nulla». Non è una difesa strenua, e un po' d' ufficio della tv generalista, la tua?  «Ma la tv generalista non è morta. A differenza di Internet è ancora l' unica in grado, all' occorrenza, di mettere insieme milioni di persone per lungo tempo. Non credo nei portenti del web, anche se seguo su Netflix tutta La casa di carta, Suburra o Stranger Things. E anche se mia figlia Margherita, anni 7, mi ha aperto un mondo; ci sono decine di programmi per bambini che hanno milioni di visualizzazioni. Sai, oggi se hai milioni di visualizzazioni sei un incrocio fra Buddha e Gandhi». A proposito di tua figlia. Una volta hai detto: «Qualche volta mi capita di pensare di non aver fatto bene il padre. Poi penso a Briatore e mi tranquillizzo». Ma davvero sei uno di quei genitori che tralascia i figli per il lavoro?  «Su Briatore: era una battuta. Mia figlia non l' ho mai trascurata per lavoro. Per due motivi. Primo, perché quando diventi padre tardi, come me e te, tutto il tempo dedicato a loro è tempo guadagnato. Secondo, perché non avrei potuto, perché ho sempre lavorato poco. Da ciò ho maturato la consapevolezza che più stai in video meno hai talento, o comunque, stretto tra le telecamere a batteri, in tempio giapponesi, non puoi esprimerlo». Scusa, ma tu non stai in video ininterrottamente da trent' anni?  «Eh no, caro amico, io da trent' anni faccio 8 puntate all' anno, e ho molto tempo di concedermi una ricarica, per poter pensare a cosa faccio. Io sono stato molto più in tribuna che in campo (molte più presentazioni di convention Mediaset che programmi). Un altro, ti assicuro, al posto mio sarebbe stato stroncato». Dici spesso di non vedere, tra i giovani, dei nuovi Jimmy Fallon, il conduttore leggendario del Tonight Show. Non è che non ti sforzi di lanciarne nuovi? Eppure sei tu ad aver aperto la carriera a Costantino Della Gherardesca, o ad aver rivitalizzato Nino Frassica.  «Tu però citi due che hanno dimostrato un' originalità assoluta. Con Frassica ho lavorato in un momento difficile, sono felicissimo per lui. "Costa" veniva dall' Inghilterra con molti problemi personali legati al fisico e agli stupefacenti, parlava non benissimo l' italiano, non aveva mai visto la nostra tv. È stato un training faticoso, ma alla fine ha avuto il successo che merita. Però, per il resto, ci sarà un motivo se la tv è ancora in mano a noi 50/60enne e col cavolo che molliamo». Un po' di invidia per Fabio Fazio?  «Di Fazio non parlo. Non cado più nella trappola dell' intervista che si trasforma in un attacco verso di lui se parlo del contratto, dello stile. Fazio lo vedi, e si commenta da solo. Punto». Ai tuoi esordi, ai tempi del Berlusca, la satira politica era sfrigolante. Tu facesti adddirittura un programma, Servizi segreti, nel '93, che anticipò la venuta di Forza Italia. Perché oggi la satira non tira più? «Appunto, colpa di Silvio. Quando imperava ci forniva materiale continuo, talvolta tracimante nella cattiveria, Da quando non c' è più, s' è tutto normalizzato. L' unico a fare satira violenta è Vauro. Vedo Crozza e vedo uno che fa le imitazioni, e quando, nei siparietti, di queste imitazioni gli imitati ridono, be', c' è qualcosa che non torna». Una volta hai votato per i Liberali "perché erano eleganti", poi sempre sinistra. Ora per chi hai votato?  «Adesso non voto più-anche se so di sbagliare, ma il mio distacco dalla politica è irreversibile. Sono nichilista. Non vedo certezze nell' economia, nell' industria, nei diritti civili, nel futuro dei nostri figli. Non abbiamo più certezze. Non chiamano nemmeno più "culona" la Merkel. Io, guarda, ho sofferto solo per la morte di Sergio Marchionne, a lui mi legava il mio rapporto pluriennale con gli spot della Fiat. Era un uomo schivo col culto naturale del lavoro, poteva essere "l' uomo del destino", ma come dico, il destino se l' è preso. Sta tutto scritto». di Francesco Specchia

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