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"Io, Vittorio Feltri": intervista a Tiziano Sossi, il regista del film sul direttore

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Tiziano Sossi ha firmato la regia  del film Io, Vittorio Feltri, scritto e raccontato da Pino Farinotti. Una versione parziale di 45 minuti è stata presentata nel quadro dello speciale, a cura del direttore Fabio Ravezzani,  che Telelombardia ha dedicato al “giornalista e direttore che tutti conoscono e all’ uomo che pochi conoscono”. L’edizione integrale del film, di 70 minuti, sarà offerta da Libero nella ricorrenza dei vent’anni della sua fondazione. Abbiamo incontrato Tiziano Sossi. 

Tiziano, partiamo dalle parole di Farinotti, un virgolettato “ ...io ho scritto e raccontato il film ma Tizianoi, regista, lo ha costruito, assemblando materiale non facile: immagini ferme, parole, pensieri fuoricampo. Ne ha fatto un insieme armonico e veloce, senza pause. Ha inventato soluzioni registiche molto creative. Ma c’è di più, ha composto e suonato le musiche. A mia memoria ricordo un solo precedente... Chaplin.”

Caspita che onore, comunque ricordo che  John Carpenter, maestro dei film dell’orrore, ha composto tutte le sue colonne sonore. Ormai le tastiere moderne ti permettono tutto, sono un’orchestra completa. Il mio stile è un po’ alla Philip Glass. Voglio ricordare che sono stato  dj di Radio Studio Monza e scrivevo per il Fan Club degli U2 che sarebbero diventati uno dei grandi gruppi della storia del rock. Ho fatto anche molti documentari su musicisti tra i quali Ivan Cattaneo e di recente uno con Enrico Intra. 

Secondo tradizione lo scrittore e il regista spesso non sono d’accordo. Come è andata con Farinotti?

Io e Pino abbiamo molte cose in comune ma approcci diversi alla materia e quindi sono ovvie le discussioni nella fase di montaggio. Ma se Pino mi chiama, io rispondo. Un nome da fare è quello di  Giovanni De Santis della DNA, un cineasta di grande esperienza, capace di intervenire nella costruzione di una storia. Raccontare le diversità, come nel caso di  Feltri, mi è congeniale. E la conferma mi è venuta dall’amico Avati che dopo aver visto il documentario in anteprima si è stupito di come Feltri fosse diverso da quello che pensava ed è arrivato a scrivergli un email per complimentarsi del nostro lavoro.

Ci sono molti personaggi che parlano di Vittorio Feltri nel documentario. 

Da Alberoni a  Del Debbio al grande regista algerino Rachid Benhadj, Sallusti,  Facci, con il quale recitavo nella Compagnia Stabile Monzese. Soprattutto c’è un ricordo commovente dello scrittore Andrea Pinketts.

E che idea si è fatto di Vittorio Feltri?

L’idea di Farinotti espressa nel documentario è azzeccata, quella cioè del doppio, dell’alter ego.  Nel privato Feltri e’ una persona alla mano, se vai a casa sua è lui che ti serve il caffè. E’ notorio che si occupa di politica come fa la gente comune e come la gente reagisce istintivamente. Le polemiche arrivano di conseguenza. E lui... si diverte. Per citare Enzo Jannacci,  “per vedere di nascosto l’effetto che fa”. E forse nemmeno tanto di nascosto.

Ci dice qualcosa dei sui suoi inizi professionali?

Dopo aver preso il diploma di ragioniere, che mi ha permesso innanzitutto di conoscere bene inglese e francese, per dieci anni ho scritto essenzialmente brevi racconti e poesie. Erano gli anni Ottanta e stavo a Monza, che non offriva grandi prospettive. Poi ecco un’occasione: la casa editrice Ibiskos di Empoli che annoverava autori come Domenico Rea e Dacia Maraini mi inserì in un’antologia e pubblicò un mio libro di poesie. 

Forse troppa carne al fuoco?

Certo, ma intanto cominciai ad andare ai Festival di Venezia e di Cannes, accreditato da Il giorno e Segnocinema. Scrissi a Pupi Avati nel 1986, e nacque un rapporto che mi ha fatto concentrare su una cosa, il cinema. 

Dunque Pupi Aavati. Un mentore importante.

Lo osservavo lavorare sui set. In contemporanea collaboravo al Dizionario dei film di Pino Farinotti. Poi fui assunto alla Finivest. Il mio capo era Carlo Freccero. Un passo importante verso il mio destino di regista. 

Un altro passo?

Nel 1990 divenni amico di Dario Argento, e fu l’incentivo che mi fece investire nell’acquisto di una videocamera Sony. Fu il periodo dei  video per mostre d’arte, viaggi e soprattutto  videoclip musicali. Cominciai a scrivere libri di cinema, Il dizionario delle registe, uno su Harrison Ford e uno sul Cinema russo. Avevo un vantaggio, conoscevo tanta gente. Alcuni nomi: Giuseppe Bertolucci, Bigas Luna, Gianni Amelio,  Nanni Moretti, fra gli altri. Con alcuni ho girato dei video. E poi Carlo Verdone con cui condivido la passione per la musica. Aggiungo maestri  come Ingmar Bergman, Blake Edwards,  Jean-Luc Godard. Senza parlare di Quentin Tarantino che ho conosciuto e sostenuto fin dal primo film Le iene. E poi, altro ... passo: New York.

New York? Un’idea coraggiosa.

Sì, ma è servita. Ho fatto diversi documentari nella grande mela. Inoltre ho conosciuto personaggi come Robert Altman, Woody Allen, Robert De Niro. Sono andato anche a Los Angeles e ho realizzato un documentario su Edward Asner l’attore che ha ricevuto più Golden Globes e Emmy Awards della storia. Tutti lo ricordiamo nei panni di Papa Giovanni.

E in Italia?

Ho fatto un documentario su Tinto Brass. In Francia il regista Paul Vecchiali mi ha dato un ruolo nel film Retour a Mayerling. Non posso non citare il  Napoli Film Festival che nel  2012 fece una  retrospettiva dei miei documentari. Con quel festival collaboro tuttora. Da quel momento miei documentari sono stati proiettati un po’ dovunque, a Milano, Roma, Berlino e di recente Chicago. 

Da Chicago a... Feltri. L’inizio di un percorso...propizio?

Perché no?
 

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