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Callea, un mito oltre l'Italia: 'Noi Ti.Pi.Cal., miracolati lungo 25 anni di dance'

Leonardo Filomeno
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"I Ti.Pi.Cal. non sono il core business della nostra carriera. Sono il nostro cuore". In un momento di reunion, revival, rifacimenti e rivalutazioni, per alcuni guardare al presente può sembrare una sfida. Per i Ti.Pi.Cal., trio siciliano composto da Vincenzo Callea, Daniele Tignino e Riccardo Piparo, pare soprattutto un'esigenza. Un modo per preservare la bellezza e l'essenza di una formazione dance storica. Uno di loro, Vincenzo Callea, lo conosciamo da tempo. Dj producer dal tocco inconfondibile, visione da sempre globale, ha messo la firma su decine di successi, la sua Turn Off The Lights su tutti. Con i Ti.Pi.Cal. ha scritto una delle pagine più emozionanti della musica dance. Anni '90 e non solo, vista la loro capacita di percorrere i tempi, qualche volta addirittura di anticiparli. "Non inseguiamo le canzoni, aspettiamo il momento giusto. L'idea di un ritorno non ci ossessiona", chiarisce.


Degli anni '90 cosa ti affascinava davvero? 
"Ogni pezzo suonava a modo suo, con pregi e difetti di un disco nato in maniera originale. Le produzioni erano tutte diverse e quella diversità conviveva nelle classifiche, in radio, in discoteca. Un pezzo di Avicii tra 20 anni? Lo ricorderemo tutti. Guai se così non fosse".
Però? 
"Però faccio fatica a pensare la stessa cosa dei pezzi strumentali riconducibili al filone big room dell'EDM. Tracce non cantate con la stessa intensità di una Children di Robert Miles, negli ultimi tempi, mica ne ho sentite. C'è comunque una forte voglia di cambiamento e questo mi rende felicissimo. Io stesso mi impongo di cambiare sempre".
La competizione tra i produttori sembra aumentare a dismisura. 
"Dimentichiamo soprattutto che i più grossi successi dance, da Corona agli Eiffel 65 agli Swedish House Mafia, sono nati nell'autenticità più assoluta".
I Major Lazer, piaccia o no, un genere se lo sono inventati. 
"Hanno reso mainstream qualcosa che in discoteca funzionava da tempo: un sogno per chi produce musica. Li trovo distanti da me, un po' come tutto ciò che ruota attorno al mondo latino. È un fatto di suoni, non di velocità. Il beat lento lo adoro: più si rallenta, più hai spazio per inserire nuovi elementi in una canzone".
Tanti pezzi di oggi sembrano i vostri. Rifatti male.  
"Spesso ci chiedono: Perché non fate uscire un singolo dei Ti.Pi.Cal. in chiave Future House? È il vostro suono. No grazie, l'abbiamo fatto 20 anni fa. Perché ripeterci? Perché raschiare il fondo del barile come stanno facendo in tanti? Quando penso a questa cosa un po' sorrido visto che effettivamente i suoni sono i nostri ma la considerazione che hanno all'estero dell'Italia, salvo rare eccezioni, è pessima".
Ci siamo adagiati troppo? 
"C'è stato un momento in cui uscivano pezzi in italiano con il sound alla Gigi D'Agostino spremuto in ogni salsa. Hanno azzerato la nostra presenza all'estero, ci hanno superato addirittura i rumeni, con uno stile simile a quello che aveva caratterizzato la dance italiana dei bei tempi. Quelle produzioni non le suonavo. Tra una Crime Of Passion dei Bamble B e una Looking 4 Happines dei Naïve, entrambe mie, supportavo la seconda. La prima cavalcava un mondo di cui si era detto troppo".
Nel 2001 i Ti.Pi.Cal. tornano con con Is This The Love, 10 anni dopo con Stars. 
"Due ritorni fortunati. Raramente una formazione di successo negli anni '90 è tornata alla ribalta dopo tanto tempo. Ci sentiamo dei miracolati. E, forse, siamo stati anche bravi nel far percepire al pubblico l'essenza di un gruppo magico e malinconico".
Rispetto a tanta dance dozzinale, il vostro messaggio è sempre stato diverso.  
"Per me sono esistono due filoni nella dance anni '90. Quello di progetti come Ice MC o Corona, dall'appeal più radiofonico e da fan che urla sotto il palco, e quello più emozionale di artisti come Billie Ray Martin o Everything But The Girl, che magari ci mettevano più tempo ad arrivare al grande pubblico. A riascoltarli oggi, i primi mettono allegria; ma un segno forte nell'ascoltatore lo hanno lasciato chiaramente i secondi. Senza nessuna pretesa, a noi piace collocarci tra questi".
Il singolo dei Ti.Pi.Cal che più ti rappresenta? 
"Sicuramente Illusion, che per me resta un pezzo underground. Round And Around ne rappresentava l'evoluzione, qualcosa con cui cercammo di arrivare alla masse. Con successo, devo dire. E forse, in questo senso, con The Colour Inside addirittura esagerammo. Infatti con It Hurts e Why Me? tornammo poi nel nostro mondo, alle nostre origini".
Un momento irripetibile? 
"Quello del successo di The Colour Inside. Albertino, già mio amico da tempo, che ci chiamava nel suo Deejay Time per presentarlo. I palcoscenici delle discoteche più importanti, su tutte l'inarrivabile Divinae Follie di Bisceglie. Eravamo uno dei pochi gruppi dance a suonare dal vivo, con batteria, tastiere, campionatori, chitarra acustica e la voce di Josh Colow".
Albertino faceva il bello e il cattivo tempo di tanti progetti dance. 
"Se il pezzo lo suonava lui, quel giorno le vendite schizzavano al 70%. Se poi lo suonavano anche le altre radio avevi fatto bingo. Albertino, da solo, era in grado di influenzare il 50% del mercato della dance in Italia. Se entravi nella Deejay Parade, poi, non ne parliamo: la preoccupazione era se il numero 1 avesse venduto 30 copie in meno del numero 2 (sorride, ndr)".
Hai detto: "Adoro il buio e l'incoscienza che hanno accompagnato tante produzioni dei Ti.Pi.Cal.". 
"Sono le fasi più belle, perché non sai ciò che accadrà. Dal buio più totale nacque e arrivò al successo Illusion. E al buio fu anche il ritorno con Stars: il dubbio sull'accoglienza da parte del pubblico non ci mollò fino al giorno prima della pubblicazione".
Consideri la dance un mondo parallelo, a se stante. 
"Fuori dal mio studio non ascolto musica da discoteca manco per scherzo: nella mia macchina non troverai mai un cd con la cassa in 4/4. Il valore aggiunto della dance è quello di essere un genere in grado di farti ricordare, a distanza di anni, una sensazione particolare, un amore estivo, una bella serata tra amici".
Con i Ti.Pi.Cal. la missione può dirsi compiuta. 
"Tempo fa ho ricevuto una mail da una signora che raccontava di aver dato il primo bacio al suo attuale marito sulle note di The Colour Inside. Voleva ringraziarmi per il suo matrimonio, per i figli che poi ha avuto. Sono i momenti più belli della vita di un artista. Perché d'un tratto scopri d'aver fatto una cosa più grande di quella che immaginavi".

 

 

 

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