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Ambra Angiolini, "ad altezza vomito". Confessa il suo dramma

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Tutti i dolori di Ambra Angiolini, compresi quelli nascosti più a fondo nell'anima, vengono allo scoperto nell'intervista dell'attrice al magazine Sette, del Corriere della Sera. Tra i momenti più duri della sua vita e della sua carriera, al contrario di quanto molti pensano, non c'è certo la fine dell'avventura di Non è la Rai, che per qualche anno l'ha fatta cadere nel dimenticatoio. Il programma di Gianni Boncompagni la rivelò ragazzina, ma non era esattamente quello che aspirava a fare: "Ho iniziato senza capirci niente. Volevo ballare: i miei lavoravano tanto, la danza era un modo per non stare in strada. Quando il successo è esploso mi tormentava il fatto di essere famosa senza sapere perché. Non ero la più brava, né la più bella: non mi sentivo speciale. Desideravo un mestiere, qualcosa che avesse a che fare con una scelta mia. Sembravo inca***ta con tutti, ma lo ero con me stessa. Quando la televisione mi ha voltato le spalle invece che disperarmi mi sono detta: ora posso cercarmi un lavoro. Ho sempre avuto la sensazione di poter aggiustare le cose".

 

 

 

Così effettivamente è stato, diventando poi una stimatissima attrice anche grazie al lutto sentimentale, la fine del suo matrimonio con Francesco Renga: "Durante la separazione da Francesco fu soprattutto Michele Placido a offrirmi la chiave: nel suo film Sette minuti ho potuto far vivere la mia rabbia. Sono fiera di quel personaggio, che ha la faccia disperata che avevo in quel periodo: per il nervoso mi venivano continui sfoghi cutanei". Molto ha contribuito anche il lavoro con Ferzan Ozpetek in Saturno contro: "Con me Ferzan ha girato più un documentario che un film: ha preso da me tutto quello che non avevo mai pensato di poter usare. Mi ha detto: 'Ma tu con ‘sta roba devi lavorare, non con tutto il resto'. Ho imparato che potevo essere interessante usando ciò che avevo sempre pensato fosse da nascondere. Una svolta, e non per i premi: oggi so che posso trasformare cose che altrimenti resterebbero lì a mangiarmi viva".

 

 

 

A livello personale, l'ha segnata la battaglia contro i disturbi alimentari: "La bulimia ha reso il mio corpo colpevole di essere diventato diverso rispetto a quello con cui ero diventata famosa. Un giorno in aeroporto vedo una rivista con la mia faccia. Titolo: 'Ambra scoppia di successo', e 'scoppia' era tra virgolette. Poi vado in autogrill e la signora delle pulizie mi dice: 'Ma va, mica sei grassa'. Ho capito che gli effetti di questa situazione erano sotto gli occhi di tutti. Alla gente – prosegue – interessava solo che tornassi magra, mentre io stavo facendo i conti con la voragine che avevo dentro. Allora ho chiuso gli occhi: non potevo farmi distrarre da quella roba, non potevo dare retta a loro prima di aver capito cosa mi stesse capitando. È come avere un tumore all’anima. Non c’è una cura immediata, uguale per tutti". Un grande aiuto è arrivato dalla famiglia: "Mia madre mi lasciava bigliettini, Post-it ad altezza vomito. O delle canzoni. Lì per lì mi facevano sentire in colpa, poi è stato importante sentire che non c’era giudizio, che per lei io non ero la mia malattia. Ho cominciato a pensare che la bulimia fosse qualcosa da cui potevo allontanarmi". 

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