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Giovanni Floris, l'affondo contro il conduttore: "Grigio burocrate di sinistra"

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Un ritratto al veleno, quello di Giovanni Floris. Uno che per Giuliano Ferrara, sempre fulminante e caustico, "ha troppi denti". Luigi Mascheroni, sul Giornale, parte da qui per demolire di fatto il conduttore di DiMartedì, il rappresentante perfetto di certo giornalista di sinistra militante della tv italiana. Floris, romano con origini sarde, viene definito "giornalista ferrato, risoluto, studioso, sempre preparato - falce e pennarello - pacato, deciso, gentile, faccia e modi del bravo ragazzo, un professionista che prepara la scaletta anche per andare in bagno, professorino figlio di professoressa del Tasso, metodico, abitudinario, occhialino da intellettuale zdanoviano, realismo socialista e pragmatismo anti-berlusconiano".

 

 

 

Laureato alla prestigiosa Luiss di Roma e poi uscito dalla scuola di giornalismo di Perugia, con accesso diretto in Rai, Floris ha il suo battesimo di fuoco l'11 settembre 2001. "A New York, per sostituire un collega in ferie - scrive Mascheroni -. Per lui fu tutto, tranne che una tragedia. E così diventa la voce e il volto italiano da Ground Zero. Uno, due, tre... passa un anno e grazie al più grande floriscultore di Viale Mazzini, il plenipotenziario apostolico palermitano Paolo Ruffini, direttore di tutte le reti democraticamente corrette, da Rai3 a «Lazette», diventa l’étoile del nuovo talk show Ballarò, stagioni 2002-2014, dodici anni di applausi e sorrisi. Poi il passaggio a La7: DiMartedì, di tutti i mesi, da dieci anni".

 

 

I suoi punti di riferimento politici? "Lettiano con un debole televisivo per Bersani e una cotta politica per Elsa Fornero". Ha superato di slancio almeno un paio di flop, il pre-serale Diciannovequaranta  ("Sospeso dopo due settimane") e una striscia culturale, Artedì, di cui pochissimo si ricordano l'esistenza. 

 

 

 

 

La scaletta dei suoi programmi? "Floris saltella qua e là, dando e togliendo la parola, incapace di stare fermo nello stesso posto o sullo stesso argomento per più di un pixel; poi molti applausi, una valanga di applausi, una piramidale cascata di applausi, del tutto immotivati, e il sottile retropensiero che la trasmissione, indipendentemente dai temi, si poggi solo su una frase della settimana, fuori posto, di un politico di destra. Il resto viene da sé".

 

 

 

Risultato: Mascheroni lo definisce un "talk-boh", con un segmento di "40 minuti, 35 argomenti, 11 ospiti. E li chiamano talk show di approfondimento. Domanda. Ma che caz***o ha da ridere Floris?". Così, secco e brutale. Forse, viene da sospettare, Floris se la ride perché "è oggi il giornalista più strettamente vicino a Urbano Cairo, giocandosi il primato con Enrico Mentana, l’unico che in assenza forzata di Lilli può condurre Otto e mezzo, prendendosi un bel nove...". Realizzando il suo sogno, di "grigio burocrate" capace di costruirsi, conclude Mascheroni, una maschera "anonima ma telegenica", un "direttore dell’orchestra più democratica e più bella, che se la suona e se la canta".

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