Diversi neanche tanto, incomprensibili sicuramente. Benvenuti alla Notte degli Oscar dell’inclusività, andata in onda sabato in tarda serata su RaiUno. Nome preciso Diversity Media Awards, ovviamente in inglese. Lo show, ideato da Francesca Vecchioni, militante lgbtq+ e condotto dalla coppia di attori, ovviamente black and white, Matilda DeAngelis e Alberto Boubakar Malanchino, ha segnato, forse persino inconsapevolmente, ossia senza chissà quale voglia di stupire, un momento di televisione divenuto inaspettatamente memorabile. Per la prima volta, infatti, sugli schermi della tv d Stato, (per di più nell’era della destra meloniana), ha fatto la sua comparsa tra i sottotitoli l’illeggibile linguaggio inclusivo chiamato schwa.

INCLUSIVO PER POCHI
Che infatti, forse per allitterazione, piace molto alla segretaria dem Schlein e alla sua compagna ma per tutto il resto dell’umanità (conduttori inclusivi compresi) resta semplicemente e dannatamente impronunciabile. Tanto da rendere addirittura preferibili altri tentativi precedenti che prevedevano la sostituzione della vocale finale con un asterisco *. Oppure l’utilizzo della vocale considerata neutra: la u. Scelta che in qualche riunione...inclusiva, porta creativi ospiti a salutare con un Buonasera a tuttu. Qualcosa più simile alla lingua sarda o al rumeno. Ma forse parsa troppo pecoreccia ai nuovi puristi del diversity correct. Meglio lo schwa che dall’etimologia ebraica dovrebbe, mica casualmente, significare proprio niente. Di fatto trattasi dell’aggiunta di una lettera in più all’alfabeto canonico.
Accertato, infatti, che di mezzo non c’è la pronuncia, lo schwa punta tutto sulla grafia. Quasi come l’asterisco. Per cui, in buona sostanza, i non udenti che si sono giovati dei sottotitoli (messi in sovrimpressione per...tutt*) di tanto in tanto, specie quando i concetti plurali nella grammatica italiana suggerivano l’uso del “maschile inclusivo”, hanno visto la comparsa del segno *, una sorta di e rovesciata che dovrebbe corrispondere a un suono a metà strada fra le altre vocali esistenti, la cui pronuncia, secondo alcuni linguisti, dovrebbe essere conosciuta da secoli da milioni di parlanti (sicuri?) e sarebbe riscontrabile all’interno di lingue come l’inglese o il francese, come pure in alcuni dialetti del Mezzogiorno d’Italia. È stato dunque in nome di queste singolari regole che, nel corso della Notte degli Oscar dell’inclusività, improvvisamente, mentre ospiti e conduttori parlavano semplicemente in maniera naturale, nei sottotitoli veniva massacrato l’italiano.
ITALIANO ADDIO
E capitava di vedere Serena Bortone di rosso vestita, parlare de l* profugh* che cercano un futuro migliore. O ancora la Iena Elena Di Cioccio, parlare in maniera geniale e ironica del triste stigma pagato in termini di vita vissuta dalle persone affette da Hiv (e da lei stessa) proprio per colpa di uno de primi (malriusciti) tentativi di pubblicità progresso anni 80, quello che segnava le persone sieropositive con un alone viola. Sorrisi amari. Ma ancor più amaro è stato leggere che proprio per quell’alone viola lei sarebbe stata un* Superero* della Marvel. In questo caso lo schwa di Stato è andato a comprimere con la e capovolta una parola che sarebbe stata maschile da apporre a un soggetto femminile. Inutile dire che il pubblico (o pubblic*?) è diventato automaticamente meravglios*, mentre l* poverett* che hanno voluto passare la serata a seguire i sottotitoli, oltre ad aver imparato una brutta neolingua, sono andati a dormire con il mal di testa.