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Antonio Ricci: "Che politici scialbi, non si riesce neanche a prenderli in giro"

Francesco Specchia
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Antonio Ricci è nell’ordine: il Gramsci della tv italiana, il Grande Vecchio del complotto satirico, un rompicoglioni di rara coerenza e talento. Di solito, ha fama di entità astratta, non si scolla mai dal suo antro di Striscia la notizia di cui è padre e padrone.

Oggi Ricci è fuori dall’habitat naturale di Cologno Monzese. Se ne sta mollemente adagiato in un cubo di plexiglass a succhiarsi un caciucco alla viareggina, ficcato nel mezzo del caos creativo del Carnevale di Viareggio, dove ha appena ricevuto il Premio Gianfranco Funari. La gente gli s’accalca attorno neanche fosse il Gabibbo, sfilano i Carri, dietro di lui-dal mare-una mongolfiera s’innalza al cielo. È tempo di confessioni.

 

 

 

La satira è viva ma non lotta insieme a noi. A parte Crozza e l’eterna Striscia la satira italiana –sia in tv che nei giornali - è sempre più rarefatta. Perché? Eppure di materiale su cui lavorare, in teoria, ce ne sarebbe... «La satira oggi è in una situazione precaria: si va ad annate come le olive. Per ora non ci sono più tante trasmissioni satiriche, ma la parentesi satirica sta al talk come la vignetta stava ai giornali una volta: Floris ha Luca e Paolo, per esempio, e una volta Porro aveva Gene Gnocchi, che ormai non vedo più, ma perché probabilmente guardo poco la trasmissione di Porro».

Be’, però si fanno strada i monologhi in teatro. Certo in America hanno gli eredi di Lenny Bruce. Noi abbiamo Enrico Brignano... 
«Enrico Brignano è bravissimo ed esalta sempre la “resistenza”, nel senso che, con spettacoli lunghissimi in teatro, mette a prova la resistenza dello spettatore».
Eppure, una volta la politica, da Vianello e Tognazzi in poi, era l’epicentro della narrazione. Andreotti vinse un Premio Satira di Forte dei Marmi come “bersaglio perfetto”, Berlusconi era lo zenith, ma anche gli altri... 
«Per me la satira politica non è mai stata il centro del racconto rispetto a comicità e controinformazione, anzi, considerando che le parti più succose di uno spettacolo vengono alla fine, tendo a trattarla all’inizio di “Striscia”. Il vero problema è che i politici di oggi hanno una tale inconsistenza che non riesci più neanche a prenderli in giro. Una volta Berlusconi faceva beatamente campare noi satirici per tutto l’anno, ora succede che addirittura la gente riconosce più l’imitatore del politico che il politico imitato; e, be’, cavolo, capisci che c’è un cortocircuito. Non ti nascondo, con molta tristezza, che alcuni politici fanno di tutto per avvicinarsi a noi e per entrare nell’inquadratura...».

 

 


 

 

Un sudario di tristezza. La politica che diventa un non-luogo, un catino di anime perse... 
«Alle volte guardo i nostri inviati imitatori che, non protetti dal palco, si esibiscono nella difficile arte dell’incontro per strada con i politici. Li prendono talmente a pesci in faccia che mi viene da solidarizzare con la controparte. Mi chiedo: “Ma perché non li saccagnano di botte? Io lo farei...”. Invece loro rimangono lì, stoici, si lasciano ammazzare, perché comunque è più importante apparire. Non ci sono più i bei feticci di una volta, perché un politico oggi assuma dignità di bersaglio satirico, ce ne vuole. Per sconsacrarlo devi prima consacrarlo. Prendi Delmastro: gli devi costruire attorno una narrazione, mettergli vicino un pirlone con la pistola: non è mica facile, eh».
Eppure avete dalla vostra gli autori, e le nuove tecnologie per rendere il piatto della politica appetibile. 
«Usando per primi l’intelligenza artificiale abbiamo fatto ballare il Ballo del Qua Qua a Renzi, alla Meloni, a Mattarella, ma poi ci ha scritto la gente stremata: “Basta, non ne possiamo più dei politici veri, figuriamoci di quelli clonati”. Ètutta una parafernalia di battute riciclate, di gesti ripetuti...».
Lei ha appena vinto il Premio Gianfranco Funari, che ha conosciuto ai tempi del Derby. Che ricordo ne ha? 
«Ho debuttato a 23 anni al Derby. In scaletta veniva dopo di me. Mi fermavo a guardarlo. Sono andato a scuola di comicità da lui: come diceva le battute, come le portava, era un manuale in purezza del comico. Ultimamente ho scoperto che eravamo insieme a Maurizio Costanzo nella lista nera di Bettino Craxi. Personalmente Craxi mi aveva querelato per 5 miliardi. Evidentemente Berlusconi ha negoziato perché alla fine han fatto fuori solo Gianfranco».
Quali sono i suoi modelli satirici? Anche andando indietro con gli anni. Per esempio: guardava Totò? 
«Vedevo i film di Totò, certo. Ma il modello satirico completo era Dario Fo. C’erano Cochi e Renato, e tutti quelli del Derby. Anche quelli del Male che erano però della nostra generazione. E c’erano i fuoriclasse come Paolo Villaggio».
Osho e Makkox? 
«Bravi, ma parlano solo al loro rispettivo pubblico, sono di nicchia, come Propaganda Live».
Si parla molto della vostra “mafia ligure”: De Andrè, Freccero, Villaggio, anche Renzo Piano, Grillo. Si narra che decidevate i destini del mondo. Villaggio, per dire che tipo era? Qualcuno dice “una carogna”... 
«Paolo era una carogna sublime. Per la festa dei suoi ottant’anni mi presentò a sua moglie come “Renzo Piano”. S’informava su come andasse il progetto della sua tomba monumentale e io improvvisavo: “Guarda, l’ho fatta a forma di un’enorme prostata di cristallo; dentro ci sono le tue ceneri messe in una grossa clessidra collegata ad un inginocchiatoio che fissa il tempo sacro dell’inginocchiamento”. E lui rispose: “C’è un problema. Io ho così tanto diabete che quando mi cremeranno verrò caramellato...”».
Meraviglioso. 
«Al funerale di Fabrizio (De Andrè, ndr) nelle prime file c’eravamo io, Vasco Rossi, Fiorella Mannoia, gentaglia senza cuore però con una sincera lacrimuccia a solcare il viso. Villaggio mi fa: “Sono invidioso di questo funerale, secondo te il mio sarà così?” “No, il tuo no”, gli dissi. “E perché?” “Perché il comico da morto non fa ridere, invece col funerale il cantautore si esalta nel dolore, esce la bara dalla chiesa e come minimo, tutte le anime belle cantano una sua canzone. Dite che possono dire? Al massimo che è una cagata pazzesca”. Da allora Paolo ha provato a morire annunciandolo in tv almeno 4-5 volte. Con robe tipo “mi ha fermato una zingara per strada, mi ha detto che fra quattro mesi esatti sarò morto”, poi però non succedeva mai e questo “morire a rate” toglieva tutta la suspense».

 

 


 

 

L’invincibile rapporto con Grillo.
«Con Grillo studiavamo bene i bersagli. Per “Te la do io l’America” scrivemmo e incidemmo una sigla che prendeva in giro Reagan, il quale però subì l’attentato. E noi eravamo lì a sperare sopravvivesse, ché sennò sarebbe stato un peccato buttare tutto quel materiale...».
Cosa ha significato il tanto vituperato (dagli intellettuali radical, poco gramsciani) “Drive in” con l’evoluzione della satira?
«Come detto nel documentario omonimo “Drive In L’origine del male”, gli intellettuali, quelli veri, han sempre tifato “Drive In”. Non è vero che abbiamo lanciato la televisione scollacciata; semmai facevamo la satira -avanzatissima- proprio a quelle trasmissioni della Rai (pioniera) dove si vedevano pure i primi seni nudi. Dopo cinque anni di “Drive In”, però, mi sono reso conto che non si poteva vivere di sole parodie: le notizie ci superavano».
E da lì ecco “Striscia”, l’ultimo baluardo contro il politicamente corretto...
«Pensai ad un tuffo di neorealismo, mandando dei giovanotti volenterosi in strada a cercare le notizie. Fummo fortunati, perché creando il primo sito Internet, grazie alle denunce dirette degli spettatori avevamo cancellato il filtro, gli intermediari: ossia quei giornalisti che, per motivi vari, mettevano le notizie sotto al tappeto. Con “Striscia la notizia” quest’anno abbiamo festeggiato i 35 anni, siamo definitivamente nel Guinness dei primati».
È vero che siete una simpatica satrapia all’interno del corpaccione Mediaset e che Pier Silvio (vedi caso Giambruno) non interviene mai?
«Pier Silvio tende a non farsi vedere, è una persona riservata ed educata. Sembra ci sia una leggenda che dice che una volta alcuni fortunati l’abbiano sentito bofonchiare addirittura “Che palle!”. Ma non esistono riscontri concreti su questo fattaccio. Negli ultimi mesi però qualche uscita in pubblico l’ha fatta, non so se per fare sentire, dopo la morte del papà, la sua vicinanza alle donne e agli uomini della sua azienda o per fare le prove di qualcosa di ancora inconfessabile per il futuro. Chissà?». 

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