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Razzismo, da Mary Poppins agli Aristogatti: le folli accuse a film e cartoni Disney

Costanza Cavalli
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Solo il migliore Billy Wilder, maestro indiscusso della commedia americana, sarebbe stato in grado di inventarsi uno sketch come quello andato in scena alla British Board of Film Classification, il Consiglio britannico per la classificazione dei film, che due giorni fa ha sentenziato su Mary Poppins: il grande classico Disney del 1964 non sarà più classificato “film per tutti” ma sotto la dicitura “bambini accompagnati”. La conversazione, a Soho Square, a Londra, dove ha sede il consiglio, dev’essere stata un cortocircuito così: «Per due volte dicono “ottentotti”, hai sentito?». «È una parola offensiva». «I bambini potrebbero impararla. Rendiamo più severo il giudizio». «Ma con le suffragette (ve la ricordate la canzone, vero? “Non puoi arrestarci o maschio son finiti i tempi tuoi/ Ben presto anche in politica seguire ci dovrai, se il voto ancor ci neghi, per te saranno guai!”, ndr) come la mettiamo? Rischiamo di far arrabbiare le femministe?». «Dobbiamo decidere: meglio insegnare ai bambini chi furono le attiviste che lottarono per il diritto di voto delle donne o meglio che non ripetano un aggettivo di cui non capiscono il significato?».

Linguaggio discriminatorio 1; femministe 0. Palla gol: il termine “ottentotti”, inizialmente utilizzato dai coloni olandesi per riferirsi ai Khoekhoe, gruppo di pastori nomadi del Sud Africa, poi esteso a indicare genericamente gli africani. Nel film è pronunciato dall’ammiraglio Boom per descrivere gli spazzacamini, il cui viso è annerito dal carbone. Per sopravvivere alla vita sociale odierna, fondata sul verbo “ricattare”, dove il ricatto è fondato sull’indignazione a nome degli altri e sul sentirsi offesi personalmente, vi offriamo una piccola guida di film, letteratura e arte che subiscono l’onta dei tempi, così che possiate districarvi nel rosario di antispecismo, antirazzismo, sostenibilità, inclusione, ecologismo che bisogna recitare ogni volta che si apre bocca.

 

 

 

Aristogatti: Il gatto siamese nella banda di Scat Cat, quello che suona il pianoforte con le bacchette, è ritenuto una caricatura razzista dei popoli dell’Asia orientale perché raffigurato con tratti stereotipati: occhi a mandorla, dentoni. Va nella categoria “straniero perpetuo”.

Biancaneve: Il bacio del Principe Azzurro che sveglia Biancaneve dall’incantesimo della regina malvagia non è “il bacio del vero amore” perché non consensuale (vale anche per quell’altra che dormiva, La Bella Addormentata nel Bosco)

Dumbo: I cinque corvi canterini («Ne ho vedute tante da raccontar/ giammai gli elefanti volar») ridicolizzano gli africani ridotti in schiavitù nelle piantagioni. Tanto che il frontman del gruppo si chiama Jim Crow, il nome delle leggi che imposero la segregazione razziale nel Sud degli Stati Uniti.

Il Libro della Giungla: Tratto dal classico di Kipling (partiamo malissimo, già la fonte è colonialista) l’orangotango Re Luigi è doppiato con una voce che ricorda quelle delle “blackface”, il trucco teatrale che consisteva nel dipingersi la faccia di nero per assumere le sembianze stilizzate e stereotipate degli africani.

Lilli e il Vagabondo: Un formicaio di cliché razzisti. Ritroviamo i gatti siamesi e nel canile vivono Pedro, il chihuahua messicano, e Boris, un borzoi, il levriero russo. C’è pure il ristoratore italiano, Tony (gli spaghetti più romantici della storia del cinema ma meglio diventare persone perbene e sole).

Peter Pan: I nativi parlano una lingua incomprensibile, indossano enormi copricapi, vengono definiti “pellerossa”: sono uno stereotipo che, si legge sul sito della Disney, “non riflette né la diversità dei popoli nativi né le loro autentiche tradizioni culturali”.

I Racconti dello Zio Tom: Definito un “esempio di razzismo imbarazzante”, vi basti sapere che è ancora bandito dalla piattaforma Disney+.

 

 

 

Via col vento: Il film nega gli orrori dello schiavismo. Concludiamo citando in ordine sparso: occhio ad alcuni episodi di serie tv (“30 Rock”, “C’è sempre il sole a Philadelphia”, “Scrubs”), temporaneamente eliminati dalle piattaforme streaming per casi di “blackface”. Attenzionati per “rappresentazioni negative di culture” anche 18 episodi del Muppet Show. Per i libri: nel 2023, sono state cambiate o rimosse centinaia di parole, giudicate offensive per l’aspetto, la razza, i generi dei personaggi, in almeno dieci romanzi di Roald Dahl, da Matilda a La fabbrica di cioccolato. Pippi Calzelunghe? Razzista. Lolita di Nabokov è continuamente bersagliata e gli scrittori classici, Shakespeare e Molière inclusi, sono tacciati di misoginia. Arriviamo all’Opera con la Carmen di Bizet, che non muore più in segno di denuncia contro la violenza di genere.

Per l’arte, c’è l’imbarazzo della scelta: alla Manchester Art Gallery il dipinto Hylas and the Nymphes del preraffaellita Waterhouse è stato rimosso perché le ninfe rappresentano «una fantasia erotica inadatta e offensiva». Ha rischiato di fare la stessa fine «Therese» di Balthus al Met; riproduzioni dei nudi di Schiele nella metropolitana di Londra sono stati censurati. A proposito di Billy Wilder: Josephine e Dafne sono una caricatura stereotipata e offensiva dei transessuali? 

 

 

 

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