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Il Mago Silvan si confessa: "Come ho fatto sparire mia sorella"

Serenella Bettin
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Aldo Savoldello, detto Silvan «Sto scaricando il taxi. Sono appena arrivato da Milano. Un attimo e le rispondo». Non ha di certo bisogno di presentazioni, il Mago Silvan. Mago o prestigiatore, chiamatelo come volete. Appartiene a quella schiera degli artisti di fama internazionale, secolari, vecchia maniera, che ancora scaricano i taxi da soli. Perché Silvan c’è da sempre. C’è sempre stato. Quando lo incrociamo ha appena finito uno spettacolo da standing ovation a Treviso, al teatro Del Monaco.

Mago Silvan (lo chiamiamo proprio così, ndr), dunque è appena arrivato da Milano. Ma dove la trova la forza?
«Genetica. Sono felice, amo la vita, i miei figli, i nipoti e le persone che mi stanno accanto. Sono un uomo fortunato. Ho sempre cercato di raggiungere i miei traguardi artistici con onestà».

A proposito, ha appena partecipato alla trasmissione “Splendida cornice”, per la Rai. Sempre in movimento.
«Sì, mi sono trovato benissimo. Mi piace Geppi Cuccia ri. È spontanea, sagace, impertinente, colta e intelligente».

Un po’ di storia: ci racconti il suo primo spettacolo.
«Troppo lungo, annoierei il lettore. Le dico soltanto che a undici anni, sotto la tettoia dell’Oratorio don Bosco a Venezia, città nella quale sono nato e che amo visceralmente, presentavo uno spettacolo di quattro ore e mezza. Presenti preti, laici e le famiglie dei miei coetanei. La magia intesa come prestidigitazione è parte integrante della mia natura».

 

 

 

Anche se suo padre per lei sognava una carriera da avvocato.
«Era amico di un avvocato di grande notorietà, il principe del foro Carnelutti».

E come l’ha presa quando ha saputo che voleva fare il mago?
«Convinto che si trattasse di una professione alquanto bizzarra, e configurandomi come Sik Sik, l’artefice magico di Eduardo, era contrario. Successivamente diventò il mio più grande estimatore. È diventata la mia professione e la mia passione. O viceversa».

Direi. Lei è celebre a livello nazionale e internazionale. Che effetto le fa?
«Sono compiaciuto e gratificato, anche se ritengo ci sia ancora da apprendere e studiare. Non ci crederà, ma nonostante abbia scritto una dozzina di libri sull’insegnamento e la storia della prestidigitazione con la riedizione de “La Nuova Arte Magica”, 600 pagine perla Nave di Teseo, mi ritengo solo a metà strada. Si ricorda il detto socratico, no? “Chi più sa sa...”».

Sa di non sapere, insomma.
«Da quest’arte antica e immensa, che insegna come alterare la realtà oggettiva nel dire ciò che non si fa e fare ciò che non si dice...».

E allora glielo chiedo: i punti di contatto tra un prestigiatore e un avvocato?
«Sotto certi aspetti, la teatralità. E poi una dialettica convincente, persuasiva. E astuzia psicologica: dimostrare con convinzione che il bianco è nero o viceversa».

E come preferisce essere chiamato? Mago, illusionista, prestigiatore...
«Sono sinonimi. Mago è il termine che viene usato abitualmente per una dizione comprensibile. Prestigiatore è termine esatto, dal latino praesto e digitus, in sintesi svelto con le mani».

Ecco, appunto: le mani. Come le mantiene? Come le allena, queste mani?
«Ho creato degli esercizi speciali per irrobustire le falangi e l’eminenza tenar, così si chiama il muscolo del palmo della mano, quello sotto la radice del pollice».

È vero che le assicurò per mezzo miliardo?
«Esatto».

Ma le scalda prima di uno spettacolo?
«Articolandole come le spiegavo con degli esercizi appropriati, tra i quali dei piccoli pesi legati alle dita».

Si allena ancora?
«Certo, da una vita».

Quante ore?
«Due, tre ore al giorno».

Ma qual è il suo segreto? Come fa?
«Passione, tenacia, esercizio costante. La stessa domanda può essere rivolta a un ciclista, tennista, corridore, danzatore, pugile».

E lei quando ha capito che sarebbe stata la sua strada?
«Da sempre. È un legame mentale dei ricordi che assorbiamo nei primi anni della nostra infanzia. Tutto ciò che ai miei occhi rappresentava l’irrazionale, il magico, è rimasto impresso nel mio subconscio. Un tributo, se così vogliamo definirlo, a tutto ciò che rappresenta l’inconoscibile, il mistero. Sono convinto che la vita perderebbe parte del suo senso se non avessimo a ogni età la capacità di stupirci».

E il suo gioco di prestigio preferito?
«Dal tagliare donne a fettine e farle levitare a mezz’aria, o a trasformarle in tigri o pantere. Nei miei spettacoli, la pura destrezza. Fare apparire o sparire 140 carte da gioco con l’ausilio delle sole mani».

Ah, una cosa ho sempre voluto chiederle a proposito delle donne a fettine: le lame sono vere?
«Certo».

È mai accaduto che qualcosa andasse storto?
«Sì, molte volte, ma il pubblico non si accorge mai, poiché il mago con la sua abilità cambia immediatamente l’effetto magico che intende presentare con un altro».

Ha mai conquistato una donna con il potere della magia?
«Mentirei se dicessi il contrario».

E di questi giovani prestigiatori che pensa?
«Tutto il bene possibile. Sono veramente bravissimi. Possiedono molto talento. In tutte le regioni esistono dei Club magici, vivai di ottimi talenti per coloro che desiderano imparare l’arte prestidigitatoria. A Milano, con la guida di Mario Pavesi, una mostra attuale, “A me gli occhi”, prodotta dalla Cineteca, sta ottenendo un successo strepitoso. Proiezioni cinematografiche interattive, poster, storici eventi dal vivo di maghi, illusionisti passati alla storia: è aperta fino al 28 aprile».

E il mago più scarso secondo lei? Si può dire, vero?
«Scherzando si può dire tutto: anche la verità. Ma nessun mago deve essere considerato scarso. Sono tutti eccellenti, da incoraggiare, aiutandoli con discrezione a migliorare, o invogliandoli alla lettura di testi che trattano la nostra arte senza atteggiamenti di presunzione o superiorità. Questo per continuare a coltivare la passione e diventare ciò che hanno sognato».

Se dovesse spiegarla a un ragazzo che vuole intraprendere la sua strada: è una vocazione? È talento? È arte, studio?
«Esattamente ciò che ha detto. La mia, anche se è inelegante parlare di sé è stata una vocazione. Sono sempre stato attratto da tutto ciò che rappresenta il magico, l’irrazionale, il paradosso».

Cosa pensa dei prestigiatori americani e dei loro mega show?
«Bravissimi, straordinari in teatro. Televisivamente sconcertanti e miracolisti».

La differenza tra ieri e oggi...
«Non esiste una magia tradizionale classica o di avanguardia. Esiste soltanto una bella magia, che stupisce e incanta con onestà».

Che poi la magia è un potere? Cos’è?
«L’arte magica affonda le sue radici in epoche molto lontane. In Egitto, in Grecia, a Roma, la destrezza del mago era camuffata da magia per asservire il potere politico sociale e religioso. Potrei discettare per ore della sua storia che da sempre affascina l’uomo».

Ma qual è stato il suo primo gioco di prestigio?
«Quello di far sparire mia sorella Udilla allestendo i drappeggi necessari nel salotto di casa».

Ah scusi, dimenticavo: e il magico “Sim Sala Bim” come nacque?
«È una frase che ha sostituito le mie primissime parole magiche: “Tac tac se rumba yama cler” come tributo e omaggio a un grande prestigiatore danese del secolo scorso. Dante”.

Quindi Sim Sala Bim? Mago Silvan?...

 

 

 

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