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Chiara Ferragni, per le sue aziende i conti (e i soldi) non tornano più

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Claudia Osmetti
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Il buco, oramai, non è soltanto virtuale (nel senso che Chiara Ferragni, secondo un’indagine di qualche settimana fa del sito Bonusfinder Italia, perde quasi 6mila followers al giorno): è che i conti, dopo il famoso pandoro indigesto, non tornano più. L’impero Ferragni, sui social, su internet, quei prodotti col marchio ben stampato sopra, l’occhio dalle ciglia ritte all’insù, faceva impazzire ragazzine e donne adulte, figuriamoci le bambine, adesso è in declino. In caduta. E c’entrano niente i pettegolezzi, c’entra niente la rottura con Fedez; c’entra, semmai, il commercialista perché qui, la crisi, è di quelle che preoccuperebbero qualsiasi azienda. Lo riporta per primo il quotidiano romano Il Messaggero, rimbalza sul web per un giorno e mezzo (come qualsiasi notizia riguardi la regina di Instagram), lo si chiacchiera in chat ed è materiale pure per le pagine di economia dato che, dopotutto, non è che stiamo parlando di qualche bazzecola, restano pur sempre sei milioni di euro (che mancano), il 40% dei ricavi (che sono crollati) e i nuovi soci (che servono per risanare i bilanci).

ANTITRUST E PANDORO
L’Antitrust, il dolce di Natale, la benifecenza, lo scandalo, planetario per giunta, Chiara in lacrime sui suoi canali: è iniziato tutto lì. E oggi è finito (per modo di dire) con la Fenice srl, ossia la società che possiede il brand Ferragni, quella che è responsabile delle licenze a esso collegate, alla ricerca di milioni di euro, sei appunto, magari non per restare a galla però quasi, il cui finanziamento potrebbe arrivare dall’apertura della sua base azionaria (aaa, nuovi soci cercansi), con un prospetto di perdite ulteriori, comprese tra uno e tre milioni di euro, da qui al 2027, stimate (mica certe, d’accordo, ma non sono una buona prospettiva lo stesso) dai consulenti interni.

 



L’affaire Balocco (ma non solo, s’è allargato a macchia d’olio) si è rivelato una mazzata, siamo onesti. Ché se i danni d’immagine (ancora) non sono quantificabili, quelli al portafoglio sì. Almeno in parte. Almeno se si pensa che fino a un sei mesi fa le aziende facevano a gara per ottenere un post, mezza virgla, una citazione in un mini-video di Ferragni, e ora le sue entrate sono circa la metà. Una questione di equity, però di “fondi equity”: cioè quegli investimenti finanziari fatti per apportare nuovi capitali. La Fenice srl (che dà lavoro a trenta dipendenti) è controllata da una società di investimenti che si chiama Alchimia e che detiene il 39,9% delle azioni (le altre sono ripartire tra la Sisterhood che ne possiede il 32,5%, l’Esuriens che ne ha il 13,7% e la Ni srl che può contare sul resto della torta): se esattamente un anno fa, a giugno del 2023, la Fenice srl era valutata 75 milioni di euro, adesso, che siamo quasi a maggio del 2024, la situazione è assai meno rosea (alla faccia, o forse proprio in virtù, del “Pink Christmas” che sta alla base di tutto questo cancan). Gli sponsor che se ne sono andati, i contratti recisi, i rapporti interrotti con realtà solidissime come Coca Cola o Safilo o Pigna: l’azienda Ferragni è chiaramente in difficoltà. Eppure se da una parte il quadro azionario non è cambiato di un decimale (per il momento), dall’altro pensare che siano gli stessi azionisti a metterci una pezza risulta quantomeno improbabile.

POTENZIALI INVESTITORI
Per questo tra i nuovi, potenziali, investitori circolano i nomi di Francesco Trapani (Vam investment) e di Marco Bizzarri (Nessifashion). Si vedrà. Quel che è sicuro è che l’influencer numero uno d’Italia sta attraversando un periodaccio (il suo store di Milano non ha registrato il pienone nemmeno all’apertura dei saldi invernali). È che internet è così: l’attimo prima vieni condiviso, amato e imitato dall’intera rete (e forse un pochino di più), l’attimo dopo finisci nel dimenticatio. Se va bene. E qui, bene, non sembra andare.

 

 

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