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M. il film: grottesco e circense, perché bocciamo la serie su Mussolini

Luca Beatrice
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Lo scrittore dice che il fascismo è ancora intorno a noi, non è il suo libro e neppure il film a evocarlo ma altri. Il regista rincara la dose parlando di fascismo come esemplificazione della mascolinità tossica. L’attore protagonista, fervente antifascista di famiglia antifascista, confessa che per aver interpretato questo ruolo ha dovuto sospendere il giudizio durante le ore di lavoro, poi rientrava a casa e tornava l’antifascista di sempre. Siamo sollevati. Atteso tra gli eventi di punta esce alla Mostra del Cinema di Venezia M. il figlio del secolo, diretto da Joe Wright in otto episodi che passeranno nel 2025 su Sky, con Luca Marinelli ancora una volta straordinario trasformista, punto fisso nella scuola di attori che riescono a modificare volto e corpo per diventare personaggio. Va subito detto, da vedere. Come prevedibile, i distinguo del caso, le excusatio non petita prima di parlare dell’opera. E pensare che di film sui dittatori la storia del cinema è piena, cominciando ovviamente da Charlie Chaplin che peraltro uscì nel 1940 in pieno nazismo. Non ricordo però un altro caso in cui siano state messe le mani avanti e che qualcuno abbia detto ciò che appare evidente: Mussolini è un personaggio straordinario da raccontare, seduce, invischia, inganna, inventa il brand di maggior successo e durata nell’Italia del ’900, un caso di “corporate image” dal meccanismo perfetto. Del Duce finisci per restare prigioniero, cominciando proprio da Antonio Scurati che proprio non riesce uscirne e infatti a breve sarà fuori con il quarto tomo della saga, L’ora del destino (ne aveva in programma tre, ne ha aggiunto un altro), uno scrittore che al dittatore deve fama, popolarità e ricchezza in termini di premi e royalties. Quasi amico della sua stessa ossessione.

ERRORI STORICI
«Guardatevi intorno, siamo ancora tra voi», avverte nelle prime battute del film un Mussolini giovane, guardando in macchina proprio come faceva Frankie Underwood in House of cards. Consapevoli che le immagini sono più forti e immediate delle parole, gli sceneggiatori Stefano Bises e Davide Serino hanno scelto di farlo parlare in prima persona (nel romanzo invece è usata la terza e moltiplicati i punti di vista) proprio per evitare il rischio di una restituzione ambigua. La narrazione parte dal 1919, l’Italia devastata dalla guerra, con l’addio al Partito Socialista e la fondazione dei Fasci dicombattimento in una Milano nera e sordida. Marcato accento romagnolo, facce grottesche, deliri linguistici, sesso consumato alla veloce e con violenza, il Mussolini di Marinelli risulta ipertrofico, selvaggio, come gli animali sente i cambiamenti del tempo, quando va bene sta nell’avanspettacolo, quando calca troppo diventa, inevitabilmente, una macchietta. Certo il film è fatto bene, Joe Wright ha mano esperta - e a proposito de L’ora più buia e di Winston Churchill fu proprio il premier inglese a definire Mussolini uno dei più grandi statisti europei, prima della sciagurata alleanza con Hitlere soprattutto uno straordinario senso del ritmo, qui sottolineato, anzi martellato dalla colonna sonora di Tom Rowlands dei Chemical Brothers.

 



Se proprio gli si vuole trovare un difetto, colpa delle “scivolate filologiche” di Scurati, avrebbero dovuto chiamare uno storico dell’arte, perché Margherita Sarfatti non era legata al Futurismo, e di conseguenza a Marinetti che nel 1919 aveva già superato la fase avanguardista della prima ondata, fu piuttosto la promotrice del Novecento che segnò il ritorno alla pittura e ai valori classici. In conferenza gli sceneggiatori hanno spiegato che il Futurismo abiurò il fascismo: inesatto, perché negli anni ’20 e ’30 l’aeropittura fu espressione primaria della propaganda di regime. Se faranno la seconda stagione siamo pronti a dar loro una mano sull’arte del XX secolo, in modo da evitare gli errori da matita blu. Però qui siamo entrati nel campo della critica in merito alla trascrizione filmica di un romanzo che, dopo la vittoria al Premio Strega nel 2018, ha una coda lunghissima garantitagli dal governo di (centro)destra in Italia. Che botta di fortuna per Scurati, invece di fare il martire dovrebbe ringraziare gli elettori e il caso.

«Ciò che l’arte democratica e antifascista può fare è fugare lo spettro, disperderlo, non evocarlo», ha dichiarato in conferenza stampa. «Ho sempre pensato che il cinema, e penso che questa serie sia grande cinema, fosse il naturale prolungamento del romanzo, un romanzo documentario come lo chiamo io, perché si attiene a fatti storici, ma crea una cornice romanzesca; e trattandosi del fascismo era fondamentale raccontarlo con sguardo nuovo, sempre antifascista, ma per tutti, il romanzo come il cinema penso sia una forma d’arte popolare, per tutti. C’erano dei rischi legati alla dimensione spettacolare del film, così come c’erano anche altri rischi di cui si è dibattuto lungamente, ma credo siano stati brillantemente superati e pur nelle sue diversità il film penso che faccia capire la seduzione potente che c’era nel fascismo e possa far provare ripulsa nei suoi confronti». Una collega, durante la minipress organizzata da Sky, si è preoccupata dell’assenza di “Antonio”, uno di casa, di quel martire perseguitato e censurato dal potere malvagio. Mano, era solo impegnato con le interviste, basta cercare un riflettore e lì trovi Scurati.

 

 

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