Il cinema come volano di cultura, promozione dell’Italia, arma mediatica per pompare il turismo. È il discorso che Pierfrancesco Favino fa esplicitamente quando chiede al governo un dialogo per intervenire sulla norma che finanzia il settore. Sarebbe il terzo intervento in una manciata di anni. Dal punto di vista della logica, ci starebbe pure. A quel punto però, attori e registi che mettono sul banco d’accusa il governo, sostenendo che tagliando i fondi alle pellicole ammazza il libero pensiero e sopprime ogni possibile dissenso e schermando i propri interessi dietro quelli delle maestranze e degli autori minori, che non possono sopravvivere, dovrebbero cambiare copione.
Se il cinema va finanziato perché è un’industria che può essere volano di progresso e concorrere a fare aumentare il Pil, gli stanziamenti vanno esaminati e decisi secondo logica imprenditoriale prima che artistica e gli affari devono prevalere sulle istanze culturali. È a quel punto che la narrazione di Elio Germano e compagni crolla. Ad attirare turisti, far girare i soldi, attivare una macchina imprenditoriale virtuosa infatti non sono le piccole produzioni, i carneade che le casse dello Stato sovvenzionano per garantire la libera circolazione delle idee, anche quelle che in sala nessuno va a vedere. Se al cinema si deve applicare anche una logica imprenditoriale, come pare suggerire Favino, la prima cosa che deve fare il governo è tagliare le spese che non danno ritorno economico e rappresentano solo una perdita di risorse. In testa ci sono proprio i piccoli film che nessuno vede, che fanno sistema e cultura, e che in realtà sarebbero del tutto rinunciabili, non solo dal punto di vista del profitto ma anche artistico, visto che la Francia produce meno pellicole di noi ma le è riconosciuto un valore superiore, come ormai capita anche alla Spagna, che ha iniziato a insidiarci anche in questo settore.
Soldi a pioggia per i film di Elio Germano
Ma come recita bene Elio Germano. Non è una battuta bensì un dato di fatto. Sarebbe partigiano non riconos...Primo quindi, tagliare le piccole produzioni, 400 delle quali negli ultimi anni non sono neppure arrivate in sala. Secondo, contrariamente a quel che ci dicono i ricchi paladini del povero cinema, dare i soldi, in maniera mirata, solo alle grandi produzioni, perché sono quelle che generano profitto, sono in grado di far lavorare le persone garantendo paghe adeguate e possono veicolare il brand Italia, promuovere luoghi turi stici, rafforzare l’identità del Paese, renderci ancora più attraenti ovunque. E un domani, chissà, restituire grazie agli incassi parte dei finanziamenti.
È questa ambiguità del doppio ruolo in commedia che i cinematografa ri di casa nostra devono sciogliere. O fai lo spirito libero e squattrinato, e vivi del mecenatismo del governo, con la vantaggiosa differenza rispetto al Rinascimento che non devi baciare la mano di chi ti finanzia ma puoi anche sputargli in faccia. Oppure fai il grande imprenditore, e a quel punto concordi con i soci cosa fare e come. La sensazione è che l’accordo si può raggiungere perché sono in tanti nel cinema nostrano pronti a venire a patti pur di ottenere. Il problema non è la disponibilità degli artisti a piegare la schiena fingendo di tenerla dritta, ma la volontà del governo di andare avanti in un’operazione di pulizia e chiarezza sulla montagna di soldi elargita al carrozzone.