A casa tutti bene, garantisce Gabriele Muccino nel suo film corale con star di prima fascia, da Pierfrancesco Favino a Stefano Accorsi, da Claudia Gerini a Stefania Sandrelli. E come potrebbe andare male? Il film nel 2018 quando, prima del Covid, al cinema era tutto un altro film, è stato un successo al botteghino: quattro milioni di incasso solo la prima settimana, nove in tutto. Il denaro crea denaro, si sa. Da qui l’idea geniale del regista di dare vita a una serie, A casa tutti bene-1 e aA casa tutti bene – 2 che si è rivelata una miniera d’oro. Per lo sforzo infatti il maestro ha ricevuto un compenso da un milione e centomila euro la prima volta e ha dichiarato un totale di due milioni e duecento mila la seconda volta, con una somma di sconti fiscali per la saga di quasi cinque milioni e mezzo di euro.
Se a casa va tutto bene, figurarsi come va in banca, con certi onorari. Anche perché Muccino negli Stati Uniti, oltre a migliorare la tecnica, ha imparato certo pure a farsi pagare bene; o meglio, Fino alla fine, dal titolo della sua ultima fatica, uscita nel 2024. Pare che il maestro si sia fatto riconoscere un doppio compenso, un milione e duecentocinquantamila euro come regista e centocinquantamila euro nella veste di sceneggiatore.
Nulla deve andare sprecato delle casse pubbliche... Tant’è che la pellicola ha beneficiato anche di uno sconto fiscale di quasi quattro milioni di euro, che hanno portato gli aiuti pubblici complessivi a superare i quattro milioni e mezzo. Il film è un thriller avvincente di cui sarebbe antipatico svelare la trama. Calcolatrice alla mano però, chiunque può decidere chi sia la vittima e chi il sicario, con licenza artistica parlando, visto che nella realtà non è deceduto nessuno, anche se si è registrata una certa moria di pubblico, avendo il costoso lavoro incassato meno di un milione al botteghino. Meglio era andata, soprattutto alle casse dello Stato, tre anni prima, quando Muccino non aveva sperimentato strade nuove ma aveva battuto il ferro sul suo pezzo forte, il grande cocktail delle nevrosi del circolino suo elevato a paradigma dei disagi generazionali del Paese, come se gli italiani fossero tutti pariolini in crisi d’identità. Gli anni più belli ci sono costati due milioni e 300mila euro, ma almeno avevano incassato il doppio in sala. Ed è proprio perla facilità con la quale ottiene finanziamenti da parte dello Stato che si capisce bene perché Muccino sia così arrabbiato per la riforma, varata da Gennaro Sangiuliano quando era ministro della Cultura e oggi nelle mani del suo successore, Alessandro Giuli. Sangiuliano infatti aveva previsto che i registi che chiedono un contributo pubblico non possano assegnarsi un compenso superiore ai 240mila euro, che è il famoso tetto per i dirigenti dello Stato introdotto dal governo grillino. Se vale per il presidente della Rai, perché non dovrebbe valere per chi chiede soldi all’azienda per finanziargli un film?
Il cinema italiano piange miseria ma il governo ha aumentato gli aiuti
“Il convento è povero ma i frati sono ricchi” è la fotografia che decenni fa il ministro socia...Muccino naturalmente non polemizza su questo, ma è di fatto il capofila, se non altro per autorevolezza, il regista, della protesta delle star del cinema. È quello che ha attaccato più duramente il governo e Giuli. È stato, con Elio Germano, il primo a buttarla in politica, dichiarando che «il ministro non ci vuole incontrare perché ci vive come degli antagonisti, come dei comunisti che vanno isolati». In realtà nella settimana trascorsa da queste esternazioni è passata acqua sotto i ponti, anche se i corsi sono sotterranei. È probabile che, nel giro di una decina di giorni, il fatidico incontro si terrà, ma sarebbe auspicabile che nel frattempo i toni si abbassassero e il dibattito pubblico si modulasse sul registro del confronto che in privato avviene costantemente. Chi vuole essere ricevuto e illustrare le proprie ragioni non può accusare il governo di logiche mafiose, come ha fatto Elio Germano parlando di fantomatici «clan» dell’esistenza dei quali non ha portato prove. Non si può sempre interpretare la parte del rivoluzionario scapestrato.
Nel suo atto d’accusa, Muccino una verità la dice. «In parte è corretto affermare che alcuni film vanno male al botteghino; è capitato anche al mio ultimo lavoro, che pure ho sempre realizzato pellicole di successo, perché ho cambiato genere», spiega. «Ma poi ci sono state le vendite alle piattaforme, quelle all’estero, in Stati Uniti, vari Paesi europei e Sudamerica. Ci sono sfruttamenti commerciali di un film che vanno molto al di là della sala». Parole sante. Ma se il cinema, specie quello dei grandi maestri, tira ancora ed è capace di fare cassetta, perché Pantalone deve finanziarlo, si chiede il contribuente, prima ancora che l’esecutivo. Ai tempi d’oro del cinema italiano, i grandi Vittorio De Sica e Carlo Ponti si finanziavano i capolavori del neorealismo con le cambiali. La qual cosa, peraltro, non impediva loro di vivere la stessa vita dorata delle star attuali. Con la grande soddisfazione di non dovere chiedere “per favore” a nessuno né tantomeno ringraziare per i successi a cui il loro genio, artistico e imprenditoriale, li portava. Oggi in scena è rimasto qualcosina del genio artistico - senza offesa, un paio di tacche inferiore rispetto a certi mostri sacri -, ma di quello imprenditoriale si è persa ogni traccia.