I registi piangono miseria con stipendi da capogiro

Le star chiedono più fondi al governo nascondendosi dietro gli operatori del cinema. Da Muccino a Salvatores, film mediocri e compensi milionari
di Pietro Senaldisabato 24 maggio 2025
I registi piangono miseria con stipendi da capogiro
5' di lettura

Il cinema, si sa, ha diversi generi. Se si affronta la questione dei finanziamenti pubblici al settore, vengono toccati quasi tutti. Quanto ai denari dello Stato utilizzati per finanziare le produzioni, siamo sicuramente nel genere horror. In dieci anni scarsi, dall’approvazione della riforma dell’ex ministro dem, Dario Franceschini, a oggi l’industria sussidiata della macchina da presa ha incamerato 7,2 miliardi. Di questi, 3,5 circa per finanziare le produzioni nazionali, più un altro miliardo per attirare quelle straniere. Un pozzo senza fondo, specie se si considera che i soldi stanziati all’inizio erano 1 miliardo e 100 milioni, cifra già non irrilevante. Gli altri 2 miliardi e mezzo circa sono dovuti agli splafonamenti, le spese non considerate all’inizio ma che, con la riforma del tax credit voluta dall’ex capo della cultura progressista, vengono rimborsate - o meglio, scontate fiscalmente - in automatico.

E qui sterziamo sul genere legal-thriller. Già perché, se nel periodo interessato - dal 2017 al 2024 - le spese per le produzioni si sono aggirate intorno ai 3 miliardi e mezzo, ma gli incassi al botteghino si sono fermati solo a mezzo miliardo, è lecito domandarsi chi ha messo gli altri 3 miliardi per pareggiare i conti. Soluzione del giallo? Lo Stato, i cittadini. Grazie ai loro quattrini un’industria che sul mercato produce valore per “1” ma costa “7” riesce a fare un margine di “3”.

La parte grottesca della questione è che i signori - registi, produttori, attori vip- che si garantiscono una bella vita lavorando in un settore in perdita e che produce utili solo per loro, piangono miseria, dicono che il cinema è morto e si atteggiano a eroi. Sfidano il governo, che vuole tagliare gli sprechi, sostenendo di mettere le loro facce famose per il bene delle maestranze, i costumisti, gli attori di terza fila, che rischiano di perdere il posto se il ministero della Cultura e quello dell’Economia interverranno con le forbici. C’è chi tenta il dialogo, riconoscendo che forse fin qui si è esagerato e che ci sono stati comportamenti e personaggi truffaldini. C’è chi punta sulla mozione degli affetti, descrivendo le difficoltà di un settore che comunque a chi sfonda garantisce ancora un sacco di soldi e sostenendo che tutti devono mettersi una mano sul portafogli per preservare il suo alto valore culturale.

Ma c’è anche chi attacca a testa bassa, dando del mafioso all’esecutivo perché vuol tagliare i viveri alla consorteria della pellicola, che nessuno oserebbe mai chiamare clan, come ha fatto Elio Germano il rosso con il ministro Alessandro Giuli, ma lobby sicuramente sì.

C’è poi un aspetto tragicomico. Le intemerate dei registi che si assegnano cachet milionari e poi si lamentano che non ci sono soldi per andare avanti facendosi scudo dietro le difficoltà di costumisti e operai fanno ridere. Ma sono anche la maschera tragica della nostra arte. “Convento povero ma frati ricchi”, diceva dell’Italia Rino Formica, ministro della Prima Repubblica noto anche per aver definito la politica “sangue e merda”. Due immagini perfettamente trasponibili alla realtà del nostro cinema, che sarà pure povero, come sostiene chi ci lavora, ma è popolato di ricchi, e che sarà pure senz’altro arte, ma chine scava la realtà non può non avvertire odore di marcio. Ci sono produzioni, per intenderci, che in sala incassano meno di quanto incassa in banca il regista che le ha dirette.

La tabella sotto è un fior da fiore delle ragioni per cui il sottosegretario alla Cultura con delega al Cinema, la leghista Lucia Borgonzoni, ha più di una buona ragione ad aver introdotto norme mirate a frenare gli sprechi. I nostri registi guadagnano come i migliori calciatori di serie A, solo che non riempiono gli stadi, non garantiscono diritti televisivi a nove zeri e neppure giocano la Champions League. Qualche esempio. Qualcuno sapeva del Ritorno di Casanova? Bene, Gabriele Salvatores ha preso quasi 700mila euro per informarcene, con un’opera senile interpretata da Fabrizio Bentivoglio, che ahilui non è più quello di Marrakech Express; infatti Casanova è tornato un anno fa e tutti se lo sono già scordato, invece il viaggio in Marocco dei quattro amici milanesi alla ricerca del tempo perduto risale agli anni Ottanta e se lo ricordano tutti.
E che dire de Gli anni più belli? Per Gabriele Muccino non finiscono mai: 637mila euro per il solito come eravamo felici e spensierati da giovani e come siamo finiti incattiviti e tristi già a mezza età, ma meno male che in fondo ci vogliamo ancora bene. Onorario modesto se però paragonato al milione e centomila euro (per due) incassato per girare la prima e la seconda serie di A casa tutti bene. L’arte della gioia? Quella ce la spiega invece Valeria Golino. È un’attrice ma si è cimentata dietro la macchina da presa con tale Nicolangelo Gelormini per raccontarci la storia di un’orfana siciliana dei primi del Novecento che parte dal convento per sfidare le rigide convenzioni della società di allora. Il nome dell’eroina è “Modesta” ma il cachet dei registi, 650mila euro, non lo è affatto.

Certo però l’assegno li avrà resi contenti, dando la prova che effettivamente l’arte può dare gioia. Modesti invece sono stati gli incassi, ma una volta che si sono ottenuti i finanziamenti pubblici questo è solo un problema secondario per chi fa cinema in Italia. Anzi, un non problema.

Il botto però l’hanno fatto Edoardo Gabbriellini e Luca Guadagnino. Forse hanno sovrastimato il valore della loro miniserie televisiva We are who we are, traducibile con “Siamo quel che siamo”, sulla crescita e i turbamenti di due adolescenti. Le loro vicissitudini non hanno scaldato i cuori, ma il conto in banca di chi le ha raccontate è aumentato di due milioni e quattrocentomila euro. Nel campionario dei registi dai due milioni in su anche Paolo Genovese, quello di Immaturi 1 e 2 ma anche, complimenti, di Perfetti sconosciuti, storia di cosa succede quando tua moglie ti guarda il cellulare. Ha deciso che la commedia all’italiana è bella ma le serie tv sono meglio e si è assegnato un super compenso per raccontare la saga dei Florio, famiglia di armatori palermitani.

Interessante certo, però... Ricordate poi i tormenti dell’attore Andrea Marinelli? Ha interpretato Benito Mussolini giovane nella serie tv “M.” per poi confessare che non si dava più pace, non sapeva neppure come dirlo alla nonna. In realtà a non darsi pace dovrebbero essere gli spettatori, al pensiero che un prodotto così scadente ha fruttato quasi un milione e settecentomila euro al suo regista, Joseph Wright; non proprio Ridley Scott o Steven Spielberg. Il regista inglese dell’Italia post Prima Guerra Mondiale ha capito poco o nulla e ha trasformato il dittatore giovane in una macchietta, ma forse la figuraccia era compresa nell’onorario.