Wes Anderson, sfottò a Elon Musk?

di Bruna Magimercoledì 28 maggio 2025
Wes Anderson, sfottò a Elon Musk?
3' di lettura

Qualcuno ipotizzava che almeno una palmetta sarebbe andata a “La trama fenicia” di Wes Anderson, in concorso al recente Festival di Cannes, in uscita il 29 maggio. Invece i giurati politicamente corretti se lo sono lasciati sfuggire, non intuendo al volo che avevano tra le mani l’occasione per celebrare un attacco non da poco all’inviso capitalismo. E pure i critici si sono limitati a raccontare l’apparenza, cioè che il fim è ripetitivo (nonostante il titolo assai ambizioso, i fenici furono i primi ad usare le lettere dell’alfabeto), cioè incollato allo stile e alla dinamica di ogni precedente opera di Anderson, fatta salva la tipica eleganza. Una marea di super star nel contorno (Scarlett Johansson, Bill Murray, Tom Hanks, Willem Defoe) per raccontare le vicende del miliardario, affarista e sognatore Anatole Zsa Zsa Korda (Benicio del Toro), che conosciamo immerso in una vasca da bagno, con un uovo a portata di mano: anche uomo di cultura, appassionato del rinascimento italiano, lo vediamo leggere un libro con Giulio II ritratto da Raffaello in copertina.

GRANDE PROGETTO
Ha un grandioso progetto, ma qualche difficoltà ad attuarlo perché cercano continuamente di farlo fuori, avvelenandolo o facendo precipitare il suo aereo (sei volte), incidenti dai quali puntualmente si salva, anche se ne esce ridotto in pezzi. Il primo fa esplodere con una bomba il pilota, che si trasforma in una chiazza di sangue proiettata nell’etere. Ma chi vuole farlo fuori? I concorrenti in affari, oppure i suoi nove figli maschi, alcuni naturali, altri adottivi, che lo osservano affacciati a un terrazzo, collocato all’interno di un salone (come un teatro) e tirano freccette (vere, non quelle con la punta di gomma che usano i ragazzini per giocare) destinate a colpire lui e la figlia Liesl, unica femmina (Mia Threapleton).

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Ed ecco qui l’occasione persa dai critici sinistri, della quale dicevamo all’inizio: impossibile, a proposito di miliardari, non fare un parallelo (voluto?) tra Aanatole ed Elon Musk, che di figli ne ha quattordici ed è considerato l’uomo più ricco del mondo. Insomma tutto l’odio-amore che Anderson nutre verso i magnati di ogni tempo, espressioni del capitalismo, che lui da sempre detesta, ma forse sotto sotto ama. Mia vorrebbe farsi suora, ma finisce per accantonare l’ideale mistico decidendo di seguire il padre nel giro del mondo e cercando di salvarlo da ogni trappola assassina, anzi diventa sua copilota, sorvolando insieme il mondo proiettato in paesaggi fantastici, iperbole della realtà, tra deserti irreali gestiti da arabi potenti con il look di principi sauditi, e montagne innevate, tutto dominato da una luce pacata e raffinata, inedita, che sembra sfumare nel verde ottanio, oggi colore di gran moda.

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Liesl diventa un alter ego, prende sempre più spazio nel cuore di Anatole, nonostante emerga un particolate non da poco: non è sua figlia, ma del tremendo fratellastro (interpretato da Benedict Cumberbatch) che ha avuto una relazione con la moglie fedifraga e fa parte del clan di quelli che vorrebbero farlo fuori. C’è qualcun altro, sia pure in forma assai diversa, che punta al cuore di Liesl. É Bjorn Kund (Michael Cera), assunto come precettore dell’incontenibile prole al maschile, esperto entomologo (si porta dietro un contenitore con le sue adorate creature, quelle più curiose), che diventa una sorta di guardia del corpo e si impegna per convincere Liesl ad andare a cena. Predica finale: se i vari tycoon rinunciassero al mito del denaro (padre e figlia quasi emuli di San Francesco, ma non riveliamo l’esatto finale) il mondo sarebbe migliore?