Vittoria Puccini, alla "sindacalista" 18 milioni di fondi pubblici

L’attrice, presidente dell’Unione interpreti, bastona il governo sui soldi al cinema. Ma lo Stato si è svenato per le pellicole in cui ha recitato
di Pietro Senaldimercoledì 28 maggio 2025
Vittoria Puccini, alla "sindacalista" 18 milioni di fondi pubblici
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Diciotto regali è un film stralunato del regista Francesco D’Amato, nobilitato dalla presenza di Vittoria Puccini nel ruolo di protagonista. L’opera è ispirata da un fatto di cronaca vero, una madre che sa di morire per un tumore e lascia alla figlia neonata un regalo per ogni compleanno fino alla maggiore età, con un biglietto, così da mantenere un legame nel tempo.

La rielaborazione della vicenda da parte dello sceneggiatore è un abisso psicologico, un groviglio surreale che vale davvero poco la pena ricostruire. Prendiamo per buono solo il titolo, Diciotto regali: sono quelli che più o meno, in un lustro e non in 18 anni, lo Stato ha fatto alle produzioni cinematografiche alle quali ha partecipato Puccini sotto forma di sconti fiscali o contributi selettivi per il valore artistico.
L’attrice è una ragazza fortunata, oltre che brava. Ha raggiunto il successo che aveva poco più di vent’anni grazie alla serie tv Elisa di Rivombrosa e da allora non si è più fermata. Si vocifera sia anche uno dei volti più pagati del nostro cinema.

Certo per lei non vale, come è giusto che sia, l’odiosa discriminazione del mondo della pellicola per cui sovente gli uomini sono pagati meglio delle donne. Guai però a dirle che è fortunata perché, malgrado abbia fatto una gavetta veloce quasi quanto quella di Lamine Yamal, il diciassettenne fenomeno del calcio che ha già giocato più di cento partite con il Barcellona e vinto un Europeo, Vittoria è convinta di barcamenarsi in un mondo difficile, non fatto di paillettes, flash, applausi e denaro.

«Noi attori non siamo dei privilegiati: è una narrazione sbagliata quella che ci descrive così: dietro ogni attore c’è un mondo di professionisti che vivono di instabilità» ha spiegato di recente la star, aderendo alla campagna di vip contro la rimodulazione dei finanziamenti al cinema messa in cantiere dal governo. «C’è stata un’oggettiva, forte, contrazione del lavoro nel nostro settore. Bisogna prendere coscienza di questa crisi e trovare strumenti concreti per affrontarla» ha dichiarato Puccini, bella con anima, da cinque anni presidente di Unita, l’Unione nazionale interpreti e teatro audiovisivo. Gli attori sono così, vogliono apparire non solo sul grande schermo. Vittoria a capo del sindacato dei commedianti che devono conciliare pranzo e cena è un po’ come Antonio Conte che rappresenta i precari del calcio o il direttore del Corriere della Sera che fa il presidente dell’Ordine dei Giornalisti, ma le doti recitative aiutano e poi saper ricoprire più ruoli in commedia nell’ambiente è un pregio, non un difetto.

La Tosca - Puccini è di Firenze - chiede all’esecutivo «rispetto e ascolto». Vuole aprire un tavolo di dialogo e saggiamente, da compaesana di Niccolò Machiavelli, ed esorta a «concentrarsi sui problemi veri senza farsi distrarre da slogan e provocazioni». Poi però sposa in blocco le parole di Elio Germano, suo compagno nel film Confidenza, due milioni e seicentocinquantamila euro di finanziamento pubblico, sette di costo complessivo e un milione e ottocentomila di incasso, inutile storia d’amore tormentato tra un prof ascrivibile alla categoria fessi di talento e la sua allieva, un genio delle scienze il cui cervello si è espanso a spese dell’anima .

Quando parla il ministro Alessandro Giuli, sostenendo che «la sinistra ha sostituito gli intellettuali con i comici», la sindacalista invita a non buttarla in politica. Quando però pontifica Elio il rosso, accusando la maggioranza di «piazzare gli amici nei posti come i clan» e di «tentare di intimidire il consenso», la pasionaria si schiera anima e cuore con lui.

Non per far lezioni a nessuno, ma il ruolo di presidente di Unita poco ha a che fare con quello dell’attore. Nel primo caso contano i fatti e non la recitazione, il copione te lo devi scrivere e non basta interpretarlo. In otto anni lo Stato ha dato al cinema 7,2 miliardi. Il calo della produzione è l’effetto del boom di lavori che c’è stato durante il Covid, quando le piattaforme avevano bisogno di contenuti e apriva set a raffica, che ha determinato un calo adesso che i magazzini sono pieni. Ecco spiegata la crisi. Negli anni grassi la presidente, che ha tanto a cuore la sorte dei meno fortunati della pellicola, avrebbe potuto chiedere quella trasparenza che pretende ora, per spazzare via i tanti truffatori che si muovono dietro le macchine da presa. Con i soldi che cascavano dal cielo, molti avventurieri si sono improvvisati artisti e hanno ottenuto fondi per film mai usciti. Altri, dopo aver ottenuto senza titoli la promessa di soldi per lavori solo abbozzati sulla carta, li rivendevano alle produzioni agendo da procuratori. A Puccini e compagni queste pratiche, che hanno messo in allarme il governo e l’hanno indotto a intervenire per chiudere i rubinetti, sono sempre andate bene. Solo ora si accorgono che c’è del marcio e vogliono trattare.

Non c’è da stupirsi, anche sullo schermo l’attrice ha recitato più volte la parte di quella scostante. A mio avviso è discriminata; di questo dovrebbe davvero lamentarsi e forse accusare di sessismo chi la costringe a certi ruoli. Poiché è bellissima, la mettono spesso nei panni antipatici di quella che alla fine ti scarica o cerca di fregarti. Tra i lavori finanziati dalle casse pubbliche spicca una serie di opere insulse sui suoi problemi di coppia con il partner di scena. Una volta, Vicini di casa un milione e duecentomila euro di finanziamento, fa la moglie fantasiosa per sé e bacchettona con il marito. L’altra, Follemente, due milioni e ottocentomila, parla da sola per autoconvincersi a fidanzarsi con un padre separato. In Quasi orfano un milione e mezzo contro trecentomila euro di incasso, è una snob stufa del marito yuppie che però torna ad amarlo quando scopre che è in realtà un bifolco. Con Una gran voglia di vivere, un altro milioncino e mezzo di soldi pubblici, deve andare oltre il circolo polare artico per capire che non è il caso di separarsi. Le avessimo pagato una lunga terapia con i migliori psicanalisti del mondo, ci sarebbe costata meno e avremmo risparmiato chilometri di pellicola.