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Massimo Giletti e il caso Fedez: "Ma come hanno fatto a non capirlo?". Come funziona davvero la Rai: un siluro

Massimo Giletti

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Massimo Giletti è uno che la Rai la conosce bene visto che ci è stato per 29 anni. Sa quanto sia influenzata dai politici, quanta pressione ci sia e ora, in una intervista a La Stampa, il conduttore di Non è l'arena, ormai da quattro anni a La7, commenta così il caso Fedez: "Quanta debolezza culturale nel non capire che basta mezza frase di personaggi così abili e influenti e sei spacciato: fai diventare martire chi, magari, non è stato neppure oggetto di una censura. I martiri veri sono altri", attacca.

 

 

E poi "c'è molta ipocrisia: il Parlamento, come è giusto che sia, detiene il controllo su un'azienda pubblica. Il problema è che ai tempi di Ettore Bernabei, la massima espressione del potere e della politica, c'erano grandi dirigenti che avevano al centro il prodotto e sapevano dire no ad un certo tipo di pressioni. Oggi c'è uno scadimento di qualità e di competenze nella gestione dell'azienda", prosegue Giletti. "Una parte dell'azienda lavora alla grande e un'altra parte è prona ai poteri politici. In una forma di vassallaggio che mi fa molta tristezza".

 

 

Da parte sua Fedez è stato abile, osserva il giornalista, è riuscito infatti a "trasformare in evento una piccola cosa di cui nessuno si sarebbe mai occupato. Questa storia racconta la debolezza culturale di una struttura che non capisce che non si possono dire certe cose. Fedez sarà pure bravo a gestire il marketing di se stesso ma è anche un artista che deve parlare di ciò che vuole sul palco. E invece tutti hanno finito per parlare del caso. Lo stesso Salvini non ha potuto rispondere a Fedez. Devi ammiccare, devi invitarlo a prendere un caffè. Morale della storia: non puoi censurare Fedez che ha milioni di persone che lo seguono".

 

 

Ma la Rai è la Rai. Mentre in una rete privata le "pressioni" sono minime, se non inesistenti. "Sfido a chiedere a qualunque dei miei colleghi se Cairo abbia mai fatto una telefonata a Mentana, a Floris e a tutti gli altri per chiedere qualcosa. Io sono a La7 da quattro anni e nella mia decisione sul futuro peserà il mio senso di libertà. Perché io faccio una televisione che è al 'limite'. Le battaglie contro Bonafede e le scarcerazioni dei mafiosi. O quella che ho fatto, isolato, contro Arcuri non avrei mai potuto farle altrove".

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