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Caso Report, l'avvocato avverte la Rai: "Dal Tar precedente pericoloso. C'è un grave rischio di discriminazione"

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Dopo che il Tar del Lazio, con una sentenza, ha ordinato alla trasmissione Report di consentire l'accesso agli atti di un'inchiesta dopo l'esposto di un avvocato milanese citato in un servizio sugli appalti lombardi, le polemiche si sono accese sul diritto all'informazione e sulla tutela delle fonti. Secondo i sostenitori di Report (e la stessa Rai) accedere agli atti significa violare la segretezza delle fonti, un pilastro per la libertà di informazione. La sentenza, afferma la direzione di Rai3, "è un precedente gravissimo, un attacco all'indipendenza e all'autonomia dell'informazione. Chi attacca Report e il suo conduttore, Sigfrido Ranucci, chiede invece di rispettare la sentenza. Il capogruppo leghista in Vigilanza Rai Massimo Capitanio accusa azienda e trasmissione di "stucchevole vittimismo": secondo i detrattori, la sentenza del Tar è sacrosanta perché chiede solo alla trasmissione l'accesso agli atti, e non viola il segreto delle fonti dei giornalisti.

 

 

Il quotidiano Leggo, sulla questione, ha sentito l'avvocato, Nicole Vinci*, che svolge attività di assistenza legale e stragiudiziale ed è consigliere nazionale dell'Associazione Nazionale Forense - Sindacato Avvocati. "La sentenza forma un precedente incontrovertibile che danneggia il segreto professionale dei giornalisti. Le fonti e il segreto sono diritti sanciti dalla Costituzione e da diverse sentenze delle Cedu. Il Tar del Lazio ha applicato la legge 241/1990 anche al caso Report: va da sé che la Rai è sottoposta a questa legge, ma parliamo di un acceso agli atti di chi ne ha un interesse legislativo riconosciuto che va fatto nell’ambito di attività amministrative, come i concorsi o i costi sostenuti per i programmi. La Rai, erogando servizio pubblico, di conseguenza è sottoposta alla legge 241: ma nel caso di specie si tratta di attività giornalistica che l’ente ha affidato a dei giornalisti, quindi la legge 241 non si dovrebbe applicare, perché si andrebbe a non rispettare la legge 69/1963 che tutela appunto il segreto professionale", spiega il legale.

 

 

 

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"Con questa sentenza si crea un precedente pericoloso, e soprattutto si va a discriminare un giornalista che lavora alla Rai rispetto ad un altro che lavora per un’altra testata. Vuol dire che chi fa un’inchiesta per la Rai deve rendere pubblici tutti gli atti e svelare le sue fonti, mentre chi fa un’inchiesta per un giornale può non farlo. In questo caso l’avvocato va a richiedere tutti i documenti prodotti e utilizzati per la produzione di questo servizio, comprese le richieste dei giornalisti via email e anche la corrispondenza degli stessi. Se vanno pubblicate le email e la corrispondenza, cosa sono questi atti, se non fonti? Il discrimine in questo caso è legato al fatto che la sentenza parla genericamente di atti: l’equivoco non ci sarebbe se il Tar avesse specificato a quali documenti consentire l’accesso e a quali no. Invece il tribunale accoglie genericamente le richieste del ricorrente: da qui l’equivoco, e quello che può essere un precedente pericoloso per la libertà di informazione", conclude la Vinci.

 

 

 

 

 

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