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Paolo Mieli, l'amara verità da Floris: "Chi vuole la pace è stato ammazzato"

Roberto Tortora
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Come gestire il conflitto in Medio-Oriente, come risolverlo e quali soluzioni sono più applicabili? Di questo, e tanto altro, si è discusso a DiMartedì, il talk di approfondimento politico di La7 condotto il martedì sera da Giovanni Floris. Tra gli ospiti, il giornalista Paolo Mieli, che ha fotografato l’attualità del conflitto israelo-palestinese, con una punta di forte pessimismo nei confronti di una soluzione pacifica.

Quando Floris gli chiede se auspica che i grandi prendano per mano i piccoli, cioè che si muovano America e Cina per mettere la parola fine alle bombe, Mieli replica: “Questo successe dopo la guerra dello Yom Kippur del 1973, cioè esattamente cinquant’anni fa e l’esito fu un miracolo. Fu condotta in modo tale che alla fine sia Israele che Egitto erano convinti di averla vinta. Kissinger fece un capolavoro, entrambi uscirono belli soddisfatti e arrivarono ad una trattativa di pace in cui i due Paesi si riconobbero a vicenda. Anche se quella pace al-Sādāt (ex-presidente egiziano, ndr) la pagò con la vita. Bisogna dire che, in quei Paesi, chi si muove per una soluzione pacifica, come Rabin, al-Sādāt, etc. in genere viene ammazzato”.

 


Su questa frase, scatta spontaneo l’applauso del pubblico, che Mieli però stronca subito: “Questo applauso non l’avrei voluto, perché poi alla fine io sono un ottimista”. L’analisi del momento di Mieli, però, vira in tutt’altra direzione: “In Medio-Oriente siamo ancora all’inizio del conflitto, non riesco a immaginare una stabilizzazione in questo momento. Ogni giorno scriviamo di un possibile scambio di ostaggi… vedremo, ma non abbiamo elementi per pensare che non esploda anche la Cisgiordania o che il conflitto non si estenda a nord di Israele. La svolta non è il semplice slogan ‘due popoli, due Stati’. Ad esempio, la transizione di Gaza, ma chi la prende? La deve prendere l’Autorità palestinese? Ma se Abū Māzen è oggetto di contestazioni e manifestazioni in Cisgiordania peggio di Hamas, anzi Hamas non lo è proprio…”.

 

 

 

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