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Senaldi: ecco perchè il Cav non cederà mai la maggioranza

Matteo Legnani
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Gullit, Van Basten, Rijkard, Maldini, Donadoni, Lentini, Weah, Papin, Desailly, Baresi, Sheva, Kaka, Ronaldinho, Boban, Saviceviv, Inzaghi, Crespo, Balotelli, Ibra, Seedorf, Pirlo, Sacchi, Capello, Ancelotti. In due parole, Silvio Berlusconi, il più grande presidente di calcio che l'Italia abbia mai avuto. Per quello che ha vinto, per come l'ha fatto e per quanto ha cambiato il calcio. E tanto sarebbe bastato per capire fin dall'inizio che della sua creatura il Cavaliere non si sarebbe mai liberato con un taglio netto, lasciandola in acque agitate. Ieri ha compiuto l'ennesimo capolavoro in rosso e nero, un coniglio tirato fuori dal cappello come ai tempi migliori: con tutta la sua abilità di imprenditore e venditore è riuscito a cedere al thailandese Bee Taechaubol il 48 per cento della società e incassare così quasi mezzo miliardo per restare il padrone unico del Milan. Nel 2017 forse non sarà più al timone, si parla di una clausola che lo obbligherebbe a cedere la maggioranza, ma lui nega e giura di «aver dato ordine ai figli di non mollare mai». Quel che è certo è che intanto si è comprato quello che tutti sognano, la possibilità di tornare agli anni verdi. Da genio della comunicazione Berlusconi sa che le ultime disgraziate stagioni rischiano di offuscare il ricordo di una storia unica e irripetibile. Per questo non poteva accettare di uscire dal calcio da sconfitto, ha rifiutato l'offerta da un miliardo per la cessione totale e ha chiesto ai soldi asiatici di consentirgli di cercare un finale da trionfatore. Centocinquanta milioni saranno investiti subito sul mercato per vincere ora, altri andranno per il nuovo stadio, a coronare il sogno di emulare Santiago Bernabeu, il presidente del Real che si è visto intitolare il "monumento al calcio" di Madrid. Con questa nuova linfa, che servirà anche a chiudere la vicenda Galliani e tutte le questioni in sospeso, la squadra può davvero sperare di tornare grande, perché dopo anni il suo numero uno ci ha rimesso sopra testa e cuore. D'altronde Silvio nel calcio ha sempre vinto mettendo d'accordo tutti, anche gli avversari, anche quelli politici. Un modo di vincere netto, prepotente, solare e internazionale, che ha fatto irruzione in un mondo abituato a inseguire le vittorie in modo curiale, sparagnino, tattico, provinciale. La grandezza e la professionalità di squadra e giocatori si tastava dagli spalti in ogni partita e suscitava un'ammirazione che sovrastava ogni altra emozione. Spirito e prospettiva vincenti sono quello che è mancato al Milan in questi anni monocolori, prima dell'Inter e ora della Juve, le grandi rivali. Da ieri il marchio di fabbrica è tornato, e clausola di maggioranza o no, i thailandesi confidano di essersi comprato anche quello. È una buona notizia non solo per i tifosi rossoneri ma per tutti gli appassionati e gli addetti del settore (investitori e televisioni in primis). Perché la speranza è che l'operazione aiuti a far tornare grande nel mondo tutto il calcio italiano, oggi rappresentato soltanto, seppure meravigliosamente, dalla Juventus. Quando Berlusconi entrò nel mondo del pallone negli anni Ottanta nel nostro campionato già erano sbarcati Maradona, Platini, Zico e Rummenigge; era già un calcio ricco e multipolare, ma ancora dal sapore casereccio, trapattoniano. Lui ha trasformato con Sacchi la tattica in scienza, con i suoi elicotteri e le sue stelle ha fuso passione e marketing, con la caccia ai migliori in ogni ruolo ha fatto di una squadra un'azienda multinazionale vincente. Ha costretto tutti gli avversari a migliorare per stargli dietro. L'Inter dei tedeschi, il Napoli del trio MaGiCa (Maradona-Giordano-Careca), la Sampdoria di Vialli e Mancini, sono tutti figli della lezione berlusconiana. Ora che i soldi mancano e quel modello se n'è andato in soffitta, anziché arrendersi il quasi ottuagenario presidente torna a cavallo dei tempi. Ci riuscirà? Lo vedremo, ma per ora bastano il progetto e il sogno. È una vendita chiavi e rinascita in mano, molto diversa rispetto alla dismissione di Moratti, che agli asiatici ha ceduto per 200 milioni in meno il 70% dell'Inter. E su questo incide molto anche la questione brand. Quello del Milan a livello internazionale è ancora il numero uno, rafforzato anche dalle recenti operazioni targate Barbara Berlusconi, da Casa Milan al rapporto con gli sceicchi. La coincidenza con la vigilia della finale Champions della Juve può sembrare un dispetto con cui Berlusconi, signore italiano e vero padre della Champions League di oggi, che già a fine anni '80 preconizzava in questa formula, prova a togliere la scena ai rivali. Ma è meglio interpretarlo come auspicio di una risurrezione generale. di Pietro Senaldi

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