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Duvan Zapata, l'idolo dei "razzisti" tifosi bergamaschi è un bomber nero

Cristina Agostini
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Duván Esteban Zapata Banguero - conosciuto da tutti come Zapata, ma con il nome Duván sulla maglia (per la serie: è tutto sempre più maledettamente complicato nel calcio moderno) - ha 27 anni, un fisico da paura, il passo felpato come una pantera, lo scatto alla Bolt, la progressione da quattrocentista, il tiro pulito e micidiale, un fiuto del gol sopraffino e la pelle colorata. Di nero. Il nuovo (a pari merito con il prevedibile e "noioso" Ronaldo che gioca oggi) capocannoniere della serie A con 14 reti sta facendo volare l'Atalanta e godere Bergamo, che da otto partite consecutive (record assoluto da quelle parti) festeggia i suoi gol, uno più esaltante dell' altro. Già, una commovente storia d' amore nel frenetico e cinico mondo del football. E così i tifosi bergamaschi lo coccolano come fosse il nuovo Evair, lo venerano come facevano con Ganz, lo esaltano come "il Capitano" Doni. Sì, è l' attuale idolo da innalzare a simbolo della meravigliosa cavalcata della Dea a fianco di Gasperini, Gomez e Ilicic, e basta fare un rapido giro sui social per tastare quanto la città sia ai piedi (fatati) del bomber: post, fotografie, fotomontaggi divinatori, like, gente che lo "lovva" e che lo "tagga" (tanto per parlare con linguaggio da tastiera) su ogni profilo come se non ci fosse un domani. Zapata immenso, Zapata re dell' Atalanta e della città. I BUU E IL CAMPANILISMO - Però c' è un però. Duván, nato a Cali (Colombia), tra le tante caratteristiche e qualità ha anche quella del colore della pelle. Scura. E allora c' è da farsi qualche domanda, semplice ma che «sorgespontanea», come diceva il grande Antonio Lubrano (ricordate?) nella trasmissione "Mi manda Lubrano": ma se Bergamo e i bergamaschi sono razzisti, come ha accusato il Napoli un anno fa dopo qualche coro contro Koulibaly (sempre lui...) e come ha sentenziato il giudice sportivo ai tempi chiudendo la Curva Nord (sanzione sospesa per un anno che sarebbe diventata effettiva in caso di nuovi episodi, che non ci sono stati), come è possibile che ora siano inginocchiati a venerare il nero Zapata? Già, qualcosa non torna. I tifosi dell' Atalanta - ma con loro ogni persona di buon senso che conosca la città - hanno spiegato da sempre e ribadito anche recentemente che loro la discriminazione di razze non solo la evitano, ma la detestano. E che si limitano a sfottere, prendere in giro (certo, a volte con qualche buu ignorante che però non ha dietro chissà quali ideologie), portare al limite il campanilismo come capita anche a parti invertite quando in giro per l' Italia si sentono dare dei «contadini ignoranti e buzzurri». È il gioco delle parti, anzi delle curve. E oggi, anziché a parole, i bergamaschi lo stanno dimostrando con i fatti, coccolando ed esaltando il loro bomber Zapata che se giocasse in qualsiasi altro club sarebbe sicuramente fischiato (come sarebbe applaudito Koulibaly se vestisse di nerazzurro), ma non certo per razzismo becero e ignorante. Solo per razzismo di maglia. Che è tutta un' altra cosa perché altro non è che il caro, vecchio e storico campanilismo da stadio. Che ha sempre acceso e accompagnato il calcio italiano. di Alessandro Dell'Orto

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