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La Corsa degli Zingari di Pacentro A piedi nudi giù per la montagna  

Salvatore Dama
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C’è questa cittadina in Abruzzo, si chiama Pacentro. Un migliaio di abitanti. Radici medievali. Un borgo. Certificato come uno dei più belli d’Italia. C’è il castello di Cantelmo-Caldora, che domina il caseggiato con le sue torri quadrate. Ci sono le montagne del parco nazionale della Majella. Tutte intorno. Di queste parti sono originarie le famiglie di Madonna (la cantante) e di Mike Pompeo, il segretario di Stato americano. 

A Pacentro, a settembre, si corre la “Corsa degli Zingari”. Quest’anno è arrivata alla 570sima edizione. Ed è pronta per la candidatura come patrimonio dell’Unesco. No, non c’entrano i rom. Gli “zingari”, nello slang locale, sono gli scalzi. E infatti la competizione si svolge a piedi nudi. Un sacrificio che i devoti offrono in onore della Madonna di Loreto. Si corre a precipizio. Giù dalla “Pietra spaccata” per i sentieri del Colle Ardinghi. Pendenza massima: 67 per cento. 

Chiaramente a terra non c’è il parquet. Ma rocce, ciottoli, terriccio, aghi di pino. Sicché i partecipanti arrivano al traguardo, che è la Chiesa della Madonna di Loreto, con le fette devastate. Tagli, escoriazioni, strati di pelle che si staccano e altre scene pulp che vi risparmio. 

Vengo a sapere che esiste questa roba ad Agosto. Da Massimo Saccoccia, uno dei veterani della competizione. Ne ha fatte più di venti, vincendo in tre occasioni.

Io sono uno “spartano”. Nel senso che corro la Spartan Race. Una corsa a ostacoli, in stile addestramento militare, ma pur sempre una competizione campestre. Ci sono delle similitudini. In termini di difficoltà e di follia generalizzata di chi vi partecipa. Quest’anno, in Italia, se ne dovevano svolgere quattro. Di Spartan. Ma, causa Covid, sono state tutte annullate. Dici: meglio, no? Te le stai a casa in poltrona, con le pantofole e il telecomando in mano. Tale e quale: chiedo a Massimo di poter partecipare alla Corsa degli Zingari.  

Saccoccia pone la questione a Giuseppe De Chellis, che è il presidente dell'Associazione Corsa degli Zingari, in collaborazione con la Confraternita Madonna di Loreto. De Chellis, sant’uomo, trova il modo per accontentarmi. Sarò una sorta di supervisor. Ruolo giustificato dall’essere un giornalista. Porto con me  la Gopro, fissandola al petto. Corro, ma non competo. Sono uno “zingarello” ad honorem. Non a piedi nudi, per Covid motivi. 

Il 5 settembre, alle ore 17.30, sono una linea di partenza. 

Ah, a proposito: non esiste la linea di partenza. Lo start è dalla Pietra spaccata. Una roccia tricolore che sorge al centro della montagna. Me la guardo dalla vallata. E penso: ok, ci porteranno lassù con una navetta. Che ne so, una seggiovia. “Si sale a piedi”, mi avvisa Massimo. “Bene...”, rispondo io, con una smorfia di dolore. Ci avviamo. La salita è prima dolce, poi man mano si inasprisce. Fino a diventare una parete quasi dritta. Alla fine è tipo un’arrampicata. Mi guardo indietro. Sono quasi arrivato a destinazione. Rifletto: ok, salire sono salito, ma da qua non scenderò mai più. Troppo ripida, la calata. Però cerco di tenere a bada l’ansia: rotolerò a valle come un selcio. O, alla peggio, mi recupererà l’elicottero del soccorso alpino. 

Secondo problema: il percorso non è segnato, non nella parte della boscaglia. Loro, i pacentrani, lo conoscono a memoria. Ma io, che pure a casa mia mi muovo con Googlemap, no. “E se mi perdo?”, domando agli altri. Nessuno mi considera. Sono già in tranche spiritual-agonistica. Si fanno il segno della croce. Una, due, dieci volte. In maniera compulsiva. Io, che sono un senza-dio, ho un po’ di pudore nel domandare l’aiuto dell’Altissimo. Ma una croce comunque me la faccio (sbagliando il verso). 

La campana dà il via. I pacentrani si tuffano nel baratro come matti. Io resto dietro. Non sto in piedi. Le Salomon, scarpe tecniche da off road, mi avevano fatto sentire un fico durante le Spartan Race, ma qui non servono a niente. A ogni passo perdo aderenza. In questa posizione, cioè con il culo per terra, mi faccio tutta la prima parte del percorso. Nella seconda, quella del bosco, sfrutto gli alberi e i rovi come punto d’appoggio. E mantengo una dignitosa posa eretta. L’ultimo step è quello in salita. Supero di corsa un paio di pacentrani. Gesto poco sportivo, visto che io ho le scarpe e loro corrono scalzi. Ma adesso mi è salita la competizione e lo faccio uguale. Il traguardo è davanti alla Chiesa. Arrivo esanime. Ho allucinazioni mistiche. Vedo la Madonna. Ah no, è Barbara Chiappini, la madrina della Corsa che sta consegnando i premi… 

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