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La Serie A difende i gay ma non da chi li uccide: la vergogna, ecco il logo fatto ad hoc per gli arabi

Andrea Morigi
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Mancherebbe soltanto una versione arcobaleno in versione araba e la battaglia per i diritti lgbtq+ diventerebbe globale. La Lega Calcio di Serie A però non ha avuto il coraggio di osare tanto e si è limitata a rendere variopinto il proprio logo solo sul profilo twitter in italiano, inglese e spagnolo. Le comunicazioni in lingua araba destinate ai Paesi islamici rimangono rigorosamente tinte di azzurro e con una scritta tricolore dello sponsor Tim, tranne pochi retweet in inglese. Forse avevano finito i pennarelli, ironizza il pubblico che ha notato la differenza di stile. In realtà sono rimasti a secco per un problema culturale che riguarda non solo il Medio Oriente, ma anche l'Africa, il Brunei, le Isole Maldive e in genere tutti gli Stati i cui ordinamenti giuridici si fondano sulla legge coranica e dove le autorità vietano la celebrazione del Gay Pride: l'omosessualità è un reato punito in vari modi.

 

Se molti, come in Indonesia, prediligono le frustate e in Iran invece hanno ormai adottato la consuetudine dell'impiccagione per chi viene condannato per atti di sodomia, altrove, come nei territori governati dal Califfato o dai Talebani, vi sono varianti locali, tutte ispirate alla lapidazione per gli atti impuri: il colpevole viene in qualche gettato dal tetto di un edificio preferibilmente alto per favorirne lo sfracellamento, oppure va immobilizzato vicino a un muro che poi sarà abbattuto da un bulldozer rovinandogli addosso fino a ucciderlo.

 

 

 

 

Forse sarebbe il caso di sensibilizzare quei popoli e lelo ro istituzioni civili e religiose a una maggior tolleranza nei confronti del vizio, piuttosto che prendersela con l'Ungheria. Al Parlamento di Budapest si sono limitati ad approvare una legge che tutela il diritto dei genitori a educare i figli in conformità con le loro convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche, come recita la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. E proprio da Bruxelles li attaccano come omofobi. Le pressioni internazionali nei confronti dell'Italia, affinché approvi il disegno di legge Zan, che si trasformererebbe in un attacco alla libertà educativa dei genitori, sono speculari. Ma si preferisce prendersela con le presunte ingerenze della Santa Sede, che si è limitata a ricordare le «esigenze della libertà di religione, insegnamento ed espressione», come ha sottolineato il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin.

Per tutta risposta, sabato scorso al Gay Pride di Milano qualcuno ha messo in scena una rappresentazione della salita al Calvario, messa in scena da un uomo travestito da donna. Del resto, dai cristiani non c'è da temere una rappresaglia violenta per gli atti di blasfemia. Semmai la cronaca è piena di atti di terrorismo compiuti da musulmani, come nel caso di Charlie Hebdo o delle vignette satiriche danesi su Maometto e il Corano. L'accusa di islamofobia fa notevolmente più paura dell'omofobia. 

 

 

 

 

Perciò contro il Qatar, che ospiterà i prossimi mondiali di calcio, nessuno si permette di protestare e nemmeno contro gli Emirati Arabi Uniti, le cui linee aeree sponsorizzano almeno una squadra di serie A italiana. Gli sceicchi non minacciano vendetta, ovviamente, ma si sa che hanno a disposizione cospicue ricchezze e detengono importanti partecipazioni azionarie in società occidentali. Vedere calare gli investimenti esteri dal mondo arabo si rivelerebbe economicamente più dannoso di un eventuale boicottaggio da parte della comunità gay. La scelta dies sere forti con i deboli e deboli con i forti può anche trasformarsi in una pratica politica. Si traduce nel cedimento alla logica del ricatto. E non in un progresso civile.

 

 

 

 

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