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Alex Schwazer, drammatiche confessioni: "Ero un tossico, le menzogne a Carolina Kostner"

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"Ero un tossico, andavo in Turchia per doparmi”. Sono le parole dell’ex maratoneta Alex Schwazer, provenienti direttamente dalla sua autobiografia “Dopo il traguardo”, edita da Feltrinelli. “Innsbruck-Vienna, Vienna-Antalya. A Carolina Kostner e ai miei genitori ho detto che sarei andato a Roma, alla Fidal — scrive l’altoatesino — Ho tenuto il cellulare acceso anche di notte, per evitare che partisse il messaggio della compagnia telefonica turca. Ragionavo già da tossico. O meglio, sragionavo. Ed ero pronto a mentire, perché doparsi vuol dire anche mentire”. Così recita l’introduzione del libro di Schwazer: “Non è la confessione di un diavolo e neppure l’apologia di un angelo. Chi vuole leggere la biografia di un uomo senza peccati ne deve scegliere un’altra, non la mia”.

 

 

Come conobbe Carolina

La conoscenza con la Kostner iniziò così: “Mi ha mandato un messaggio per invitarmi a una festa a Ortisei, per l’argento di Goteborg - racconta Alex -: il suo primo, vero, grande successo. Ancora non ci conoscevamo. Le ho risposto che dovevo allenarmi e, per non fare brutta figura, mi sono offerto di andare a trovarla a Torino. Dopo una pizza e due bottiglie bevute quasi da solo, le ho rovesciato il drink addosso. Abbiamo fatto le cinque del mattino. Eravamo in sintonia. La mia solitudine era molto simile alla sua”. Sulla volontà di raccontare tutto in un libro, nove mesi dopo l’archiviazione del procedimento penale per doping, nato dall’accusa alla vigilia dei Giochi di Rio 2016, e sei mesi dopo il no del Tas di Losanna che gli ha precluso Tokyo 2020, l’altoatesino dice questo: “Forse l’estate scorsa, con l’assoluzione giuridica e il no alle Olimpiadi, mi è scattato qualcosa dentro e ho deciso di chiudere i conti con il passato”. 

 

 

Un libro sulla sua vita

E ancora: “Ho dato il libro a Sandro (Donati, ndr), il mio allenatore, a Gerhard (Brandstätter, ndr), il mio avvocato, chiarendo subito — ha detto in un’intervista al Corriere del Veneto — ‘Non aspettatevi un libro d’inchiesta perché parlo solo della mia vita’. Non sarei riuscito a trovare la motivazione per scrivere cinquanta pagine su come ho vinto a Pechino, sul doping o su quello che è successo a Rio nel 2016. Molti punti cruciali della mia storia sono stato volutamente soft: non volevo che la mia autobiografia ospitasse pensieri di odio e rancore. Non ho concesso spazio alle persone che mi hanno ferito o a chi è salito sul carro del vincitore per poi scendere appena le cose sono andate male”.

 

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