Cerca
Cerca
+

Ermanno Fumagalli: "Non era calcio, era Gomorra". Cosa succedeva davvero a Seregno: inchiesta-choc

  • a
  • a
  • a

Nella vita fa il portiere, ma l’incubo vissuto da lui e dai suoi compagni non lo consiglierebbe a nessuno. Si chiama Ermanno Fumagalli, ha 39 anni, ed è bergamasco di Treviglio. In oltre vent’anni di carriera ha girato l’Italia, partendo dal Nord (prima Fiorenzuola e poi Lodi), quindi stabilendosi per qualche anno in piazze molto calde del Sud, da Messina ad Avellino, da Caserta a Foggia, dove il calcio incendia gli animi. Ma è a Seregno, nel cuore della Brianza, che ha trovato uno scenario paradossale, da incubo, e fatto di violenze e minacce. “Era Gomorra”, dice. Quello che Fumagalli, assieme ad altri compagni, ha avuto il coraggio di raccontare al presidente Davide Erba qualche settimana fa, portando all’allontanamento del d.g. Ninni Corda e di due suoi fedelissimi, il difensore Christian Anelli e il centrocampista Federico Gentile, tutti e tre arrivati la scorsa estate dopo la promozione del Seregno in C.
 
“Era come se fossimo sempre in trincea”
Dopo le dichiarazioni di Fumagalli, è partita l’inchiesta della Procura di Monza. Intanto, il portiere ha parlato alla Gazzetta, omettendo tutti quei particolari che potrebbero essere utili alle indagini e che sono coperti da segreto. “In allenamento si giocava a pallamano, tipo calcio fiorentino, dove per vincere si faceva di tutto”, racconta. E se si perdeva, le conseguenze era particolari: “Una volta siamo stati convocati alle 6 del mattino e abbiamo corso per un’ora, dopo la sconfitta contro la Juventus Under 23 siamo arrivati alle 7 e abbiamo dovuto rivedere la gara del giorno prima — aggiunge — Non era una squadra, era una caserma. Sempre in trincea. Quando mi hanno minacciato ho capito che non potevo più accettare tutto questo”.

“Alle minacce alla mia famiglia non ci ho visto più” 
Come si è arrivati alle minacce? Fumagalli lo racconta: “Stava per incominciare l’allenamento e mi si sono avvicinate alcune persone che conoscevo perché bazzicavano attorno alla squadra. ‘Ti veniamo a prendere a casa, forse non hai capito’. ‘Non rivedrai più la tua famiglia, stasera saluta Jacopo’ — racconta il portiere — Ma quando hanno fatto il nome di mio figlio, non ho più capito niente. Non ho avuto paura soltanto io. Ma anche mia moglie, con due figli in casa, non era più serena. Non era calcio, era Gomorra. È stato devastante. Perché proprio me? Forse perché mi comporto da professionista. Nessuno ha mai potuto parlare male di me, come persona. Il fattore umano, per me, è fondamentale”. Se il giocatore stava per lasciare Seregno "la fiammella, che si stava spegnendo, adesso si è riaccesa — conclude — Ci sono più serenità, più armonia, più compattezza. Prima c’era Gomorra".

Dai blog